Chiesa austriaca a un passo dallo scisma

L’«Appello alla disobbedienza» sul sacerdozio femminile e sull’abolizione del celibato convince la gran parte dei cattolici

VIENNA. Non è una semplice manifestazione di dissenso quella che agita da tre mesi la Chiesa austriaca. È molto di più. È una bomba a orologeria, che potrebbe scoppiare da un momento all’altro e portare a un vero e proprio scisma. Del resto, il documento in 7 punti, che ha messo allo scoperto una crisi che nel mondo cattolico austriaco era latente da anni, ha un titolo inequivocabile: “Aufruf zum Ungehorsam”, “appello alla disobbedienza”.

Se le parole hanno un senso, siamo in presenza di un vero e proprio moto di ribellione, che va preso molto sul serio, perché le tesi contenute nel documento, pubblicato il 19 giugno, festa della Santissima Trinità, sono condivise da una larga maggioranza dei cattolici austriaci praticanti e, secondo il teologo viennese Paul Zulehner, dall’80% dei sacerdoti. In altre parole, siamo in presenza di una spaccatura tra i vertici della Chiesa e la base del clero, che il documento del 19 giugno ha fatto conoscere all’opinione pubblica, per l’effetto dirompente delle parole usate (l’appello alla disobbedienza) e per il carisma del sacerdote che sta guidando il dissenso.

È Helmut Schüller, ex vicario generale della diocesi di Vienna, ex direttore della Caritas, allontanato dai suoi uffici per divergenze di opinioni con il cardinale Christoph Schönborn e relegato alla piccola parrocchia di Probstdorf, alla periferia orientale di Vienna. I 7 punti dell’appello ribadiscono molte delle istanze avanzate già in passato dal movimento “Noi siamo Chiesa”, con la sottoscrizione che nel 1995 raccolse mezzo milione di firme. Riguardano la possibilità di avvicinarsi all’Eucarestia per le persone divorziate e risposate, per i cristiani non cattolici e persino per i fuoriusciti dalla Chiesa, la possibilità per i laici di predicare, le modalità liturgiche in tempo di scarsità di preti.

Ma le istanze più importanti e destabilizzanti dell’”appello” sono due: l’abolizione del celibato sacerdotale e l’ammissione delle donne al sacerdozio. A leggere tra le righe dell’”Aufruf zum Ungehorsam” si ha la sensazione che non si tratti tanto di richieste, quanto di constatazioni dell’esistente. I 7 punti in effetti riflettano situazioni già presenti nella Chiesa austriaca e note anche ai vertici, ma tollerate, a patto che non se ne parli, secondo quella formula “don’t ask, don’t tell” adottata altrove per i gay nelle forze armate e che in Austria si potrebbe agevolmente applicare ai preti segretamente sposati o conviventi.

Un sondaggio ha rivelato, per esempio, che un quarto dei quasi 4000 parroci vive un rapporto di coppia. I fedeli lo sanno, il vescovo lo sa, ma tutti fingono di non sapere. Don’t ask, don’t tell: finché non se ne parla pubblicamente, il problema non esiste. Uno studio pubblicato lo scorso anno con il titolo “Come va, signor parroco?”, rivela che il 64% dei sacerdoti chiedono alla Chiesa una maggiore apertura nei confronti delle mutate situazioni della vita di oggi, il 79% si esprime contro il celibato dei preti, oltre la metà vorrebbe che anche le donne potessero salire all’altare.

L’”appello alla disobbedienza”, dunque, non chiede nulla di nuovo. Si limita a sollevare il velo di ipocrisia sulla condizione pastorale esistente. L’alibi del “don’t ask, don’t tell” è caduto e il documento del 19 giugno esige ora un cambiamento. Gli incontri già avvenuti tra i promotori dell’appello e il cardinale Schönborn hanno rivelato soltanto l’esistenza di posizioni inconciliabili. Intanto l’”appello alla disobbedienza” continua a raccogliere consensi sul sito internet “http://www.pfarrer-initiative.at" (leggibile in 8 lingue, ma non in quella italiana, la lingua del Vaticano). Il 6 novembre si terrà a Linz l’assemblea della “Pfarrer Initiative”, il movimento dei sacerdoti nel cui ambito è nato l’”appello alla disobbedienza”. Potrebbe essere quella la data dello scisma austriaco.

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