Chi uccise Pier Paolo Pasolini? Un libro riapre il caso
di Roberto Carnero
Un libro riapre la controversa questione dell'omcidio di Pier Paolo Pasolini. Si intitola provocatoriamente “Frocio e basta” e ne sono autori Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti (Effigie edizioni, pagg. 120, euro 8,50). Il saggio non solo accumula nuovi indizi a favore dell'ipotesi dell'assassinio politico, che sarebbe maturato in relazione al lavoro dello scrittore per il romanzo “Petrolio”, ma analizza quello che viene definito come una sorta di “complesso” degli intellettuali italiani. I quali, per lo più, hanno sempre respinto questa ipotesi, sostenendo invece che la morte di Pasolini debba essere letta soltanto come il tragico epilogo delle sue frequentazioni omosessuali. Quasi una rimozione collettiva, le cui ragioni per molti versi rimangono oscure e che il libro cerca però di analizzare.
Ma ci sono delle novità di rilievo? Lo chiediamo a uno dei due autori, il fotografo, editore, saggista e giornalista Giovanni Giovannetti: «Il dato ormai certo, emerso con chiarezza proprio in questi ultimissimi anni dalla riapertura dell’inchiesta giudiziaria, è che sulla scena del delitto in quella notte tra il primo e il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia non c’era soltanto Pino Pelosi, l’unico condannato per la morte di Pasolini, ma almeno 7 persone. Questo è un fatto incontrovertibile. A partire da qui, non ci si può non interrogare su chi fossero quelle persone, di alcune delle quali oggi sappiamo nome e cognome, e soprattutto da chi furono armate le loro mani».
Su quest’ultimo punto, tuttavia, la nebbia continua a rimanere piuttosto fitta. «Anche se - aggiunge Giovannetti - appare molto probabile che il fastidio che Pasolini suscitava in diversi ambienti per così dire “altolocati” (da certa politica a certa finanza, fino ad alcuni settori delle forze dell’ordine e dei servizi segreti) abbia potuto determinare una reazione. Intendiamoci: non è che Pasolini conoscesse segreti ignoti ad altri. Ciò che lui sapeva erano cose pubblicate, note, sapute. La sua principale fonte per il romanzo “Petrolio” era un libro uscito nel 1972, dal titolo “Questo è Cefis”. Un testo che Pasolini, come ha mostrato benissimo la filologa Silvia De Laude, in molti capitoli del romanzo addirittura parafrasò».
“Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente” – ricordiamolo – uscì presso Ami, Agenzia Milano Informazioni, nell’aprile del 1972, con l’indicazione, come autore, di un tale Giorgio Steimetz, pseudonimo dietro il quale si celerebbe il giornalista Corrado Ragozzino (o forse, secondo altri, il senatore democristiano Graziano Verzotto, capo delle pubbliche relazioni Eni in Sicilia e amico personale di Enrico Mattei). In “Petrolio” c’è un personaggio di nome Aldo Troya che sarebbe un alias proprio di Eugenio Cefis (1921-2004), consigliere dell'Agip, presidente dell'Eni e presidente della Montedison. Per il suo ruolo nella loggia massonica P2 e i forti sospetti avanzati dal giornalista Mauro de Mauro e dallo stesso Pasolini su un suo coinvolgimento nell'attentato aereo a Enrico Mattei (27 ottobre 1962 a Bascapè, vicino a Milano), cui succedette come Presidente dell'Eni nel 1967 (dopo la parentesi di Lorenzo Boldrini), quella di Cefis è una delle figure più controverse dell'ambiente imprenditoriale italiano della Prima Repubblica. Steimetz lo descrisse come un nemico che tramava nell'ombra per ottenere la presidenza dell'Eni e neutralizzare la politica fortemente indipendente di Mattei, ipotizzando che avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali.
Dunque Pasolini sarebbe stato ucciso proprio per questa indagine che stava conducendo? «Non si può escludere che qualcuno potesse ritenere che Pasolini sapesse di più di quanto fino a quel momento aveva scritto sui giornali e nei libri che andava componendo. Ciò che poteva fare paura in Pasolini era la sua acutissima intelligenza, unita all’accesso ai media che gli consentiva di raggiungere il grande pubblico».
Ma se gli indizi sono tanti e tali, perché la tesi del complotto e dell’assassinio politico ha sempre trovato pochi sostenitori tra gli intellettuali e tra gli scrittori, gli stessi colleghi di Pasolini? «Prova a offrire una spiegazione Carla Benedetti nella prima parte del nostro libro. La Benedetti evidenzia un singolare sillogismo, piuttosto diffuso: Pasolini era omosessuale, rimorchiava di notte “ragazzi di vita” spesso sconosciuti, dunque è comprensibile che sia stato ucciso in quel modo. Coloro che ragionano così non capiscono che questa lettura talmente facile poteva essere la migliore copertura proprio per i mandanti di quell’omicidio, che infatti ebbero gioco semplice a far passare tale versione. Ciò che colpisce, però, è che in questa trappola sono caduti, anche di recente, critici di grande acume come Giuseppe Zigaina, Nico Naldini, Marco Belpoliti, Bruno Pischedda, Emanuele Trevi. Se il nostro libro ha un senso, è proprio quello di riaprire il dibattito, invitando a considerare serenamente, senza tesi preconcette, gli elementi in gioco, cioè i dati di fatto».
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