«Che senso ha processare persone di novant’anni?»
«I processi per le morti causate dall’amianto rispondono più a una questione etica che giuridica. Che senso ha processare persone che hanno novant’anni e che nell’arco dei tre gradi di giudizio saranno scomparse con ciò determinando l’estinzione del reato per morte del reo?».
Concetti da far tremare i polsi al Tribunale e alla Procura della Repubblica di Gorizia che sui processi amianto, ciascuno per la propria competenza, hanno molti investito negli ultimi anni dopo le “nebbie” calate nei primi anni del Duemila.
Concetti che si sovrappongono al millimetro alle posizioni assunte dalle difese degli imputati nei primi tre processi penali amianto celebrati e in corso di celebrazione a Gorizia. Concetti, ed è questo aspetto il più significativo, espressi da un giurista, quel Bruno Giordano, magistrato di Cassazione e docente di Diritto della sicurezza sul lavoro all’Università di Milano.
Giordano ha proposto uno degli interventi più interessanti al recente convegno organizzato ad Aquileia dall’associazione Ubaldo Spanghero della Cgil e dal titolo “Dalla tutela dell’ambiente alla tutela dell’ambiente del lavoro. Normativa, processo e sanzioni. Il caso amianto”. Giordano ha parlato a una vasta platea composta soprattutto da avvocati, in quanto il convegno di due giorni rientrava nei corsi di aggiornamento degli iscritti all’Ordine di Gorizia.
«Nel processo penale sulle morti per amianto al centro è la vittima e non l’imputato. Mi chiedo se condannare persone di novant’anni coincida con il principio della funzione rieducativa della pena. Questi processi sono alimentati da una sorta di senso di colpa dello Stato che non ha controllato in passato l’utilizzo dell’amianto come avrebbe dovuto fare. Questi sono processi difficili, dispendiosi, impongono percorsi di archeologia industriale perché bisogna risalire indietro di molti anni per trovare il nesso di causalità tra l’esposizione all’amianto e la morte del lavoratore. A mio avviso è necessario introdurre l’incidente probatorio obbligatorio nelle indagini preliminari. Ho l’impressione che molte sentenze penali siano ispirate se non decise dai periti dell’accusa. Ma non tutti i periti sono preparati e all’altezza del compito loro assegnato. Serve al più presto istituire un albo dei periti da cui attingere obbligatoriamente. In questo modo tutti i Tribunali e le Procure, anche le più piccole, potranno avere a disposizione periti adeguati».
Dal penale al civile e in questo caso è stata la giudice del lavoro del Tribunale di Gorizia, Barbara Gallo, a fotografare la sua esperienza nei processi amianto relativi, come nel penale, per la stragrande maggioranza a ex lavoratori del cantiere navale di Monfalcone. «Quando ho cominciato a occuparmene, nel 2006, sapevo poco dell’amianto- ha spiegato Gallo - . All’epoca le cause del lavoro erano circa 350, con l’amianto abbiamo superato le mille cause risarcitorie. Ho preso a cuore il problema dell’amianto e oggi ho maturato l’esperienza necessaria per gestire i procedimenti al meglio. Velocizzare i processi è un obiettivo che tengo sempre in primo piano, di conseguenza favorisco e accompagno le conciliazioni tra le parti. Nessun caso è uguale all’altro, ma oggi grazie ai verbali di testimonianze accumulati in gran numero possiamo velocizzare, in accordo con le parti, la contestualizzazione storica in cui è avvenuto. Che l’amianto fosse nocivo lo si sapeva del 1909 tanto che era vietato l’utilizzazione a donne e a bambini. Gli imputati come possono affermare di non aver saputo della pericolosità dell’amianto?».
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