Che nostalgia dei tempi in cui viaggiare in treno significava sognare

Oggi invece varcare i confini di una stazione, specie se diretti da queste parti, equivale ad entrare in un vero incubo
Di Margherita Hack
Silvano Trieste 12/02/09 Margherita Hack
Silvano Trieste 12/02/09 Margherita Hack

di MARGHERITA HACK

Le prime luci dell’alba filtravano dal finestrino del vagone letto. Si intuiva che l’aria era ancora frizzante, ma stava per nascere una piacevole giornata di sole. Una giornata che portava con sé il tipico tepore d’aprile. A quel tempo lavoravo all’Osservatorio di Merate, in provincia di Lecco. Era la primavera del ’64 e, partita da Milano, stavo per raggiungere Trieste, dove avevo appena vinto la cattedra all’Università. Era la prima volta che incontravo questa città così particolare, così diversamente unica. Non sapevo che da lì a poco sarebbe scattato il classico colpo di fulmine.

Il leggero movimento del treno mi aveva appena fatto uscire dal mondo dei sogni. Sbirciando dal finestrino, fui investita da un turbinio di colori. L’azzurro del cielo si fondeva con quello dell’acqua. Il bianco delle rocce si rifletteva a sua volta nel mare. Il verde della pineta sbucava all’improvviso come un fiore a primavera. Stavo ammirando per la prima volta la costiera triestina. Altri tempi, decisamente.

Come sono cambiate le cose da quella volta. A dire il vero Trieste non è cambiata poi così tanto. Il suo fascino è rimasto intatto, anzi si è fatto ancora più intrigante. Sono altre le cose che non sono più quelle di un tempo. Se credete che sia ancora possibile raggiungere così facilmente in treno Trieste... beh vi sbagliate di grosso. Parliamoci chiaro, questa città è stata deliberatamente isolata dalle Ferrovie dello Stato. Volutamente ed ingiustamente tenuta in disparte, ai margini di quello che, evidentemente, è il centro del business che interessa a chi di dovere. Ma come è possibile che non ci siano più tutti quei collegamenti diretti, diurni e notturni, con le più importanti città italiane, come Roma e Milano? Come mai Trieste è scollegata con il resto d’Italia per quel che riguarda il traffico su rotaia? Domande che non hanno una risposta. O meglio, io una risposta me la sono data. Evidentemente le Ferrovie dello Stato non rappresentano più il servizio pubblico che incarnavano un tempo. E quando dico servizio pubblico intendo dire fare gli interessi del cittadino, dell’utente. Adesso Trenitalia non è più un servizio pubblico, è diventata semplicemente un’azienda. Dove non contano più le città ed i passeggeri. Contano soltanto i numeri, i bilanci e soprattutto i conti in attivo.

Suvvia, non è possibile che ogni volta che da qui si deve raggiungere una qualsiasi città italiana, da Roma a Milano, da Firenze a Torino, si debba cambiare più volte treno. E lo stesso discorso vale quando si ritorna a Trieste, dove per forza di cose si è costretti a cambiare a Mestre. Sembra che il mondo finisca lì e che poi non ci sia più nulla. Per non parlare dei tempi strettissimi per il cambio di treno. Pochi minuti appena. Ma, dico io, ci fosse almeno la logica di far sì che i due binari siano vicini, per consentire ai passeggeri di velocizzare il cambio di treno. No, nemmeno quello.

Sapete quante volte, arrivando da Roma, mi sono vista letteralmente chiudere le porte in faccia del treno che, da Mestre, mi avrebbe portato a Trieste? Più di una e vi assicuro che non è una bella sensazione. Senza contare il fastidio di dover aspettare parecchi minuti il treno successivo in una stazione, quella di Mestre, che non è proprio il massimo del comfort. Una volta, ve lo assicuro, c’erano più educazione e gentilezza da parte del personale. E più organizzazione. In tempi in cui non esistevano ancora i telefonini, il capotreno via radio comunicava con la stazione e, se eravamo in ritardo, chiedeva ai colleghi di aspettare qualche minuto in più per permettere ai passeggeri di non perdere la coincidenza successiva. E ci aspettavano veramente, altro che adesso.

Vogliamo parlare poi del problema sporcizia? Credo sia quasi superfluo sottolinearlo. I vagoni dei treni locali sono indecenti. Per terra si trova di tutto. Gli ambienti sono sudici. Ricordo una volta che la porta della toelette si era inceppata e non si riusciva più a chiudere. Beh, non vi dico lo spettacolo che si presentava davanti ai tanti turisti costretti a stare in piedi vicino al bagno, visto che i posti a sedere erano tutti occupati. Non proprio edificante. Né alla vista, né tanto meno all’olfatto, considerati i “profumi” che uscivano da quella porta.

E pensare che una volta c’erano i vagoni letto fino a Trieste, ricordo con piacere le carrozze ristorante, i collegamenti veloci. Per non parlare di tutti quei treni che collegavano la città con il sud Italia, da Lecce a Reggio Calabria, da Bari a Napoli, molto utili per tutte quelle persone originarie del Meridione. Anch’io li ho presi tante volte per partecipare ai convegni in giro per la penisola. Quanta nostalgia. Adesso da Trieste non parte e non arriva più quasi niente. Però permettetemi, da toscana verace quale sono, di fare una critica ai triestini. Secondo me dovrebbero farsi sentire molto di più. Alzare la voce, protestare. Scendere in piazza. In altre città, magari più calde, avrebbero già occupato i binari della stazione, sarebbe successo un finimondo. I triestini, per indole, sono troppo permissivi, troppo pigri, fanno spallucce e lasciano che gli altri facciano i loro comodi. Ma non è giusto che sia così. Bisogna reagire e qualche volta avere il coraggio di battere i pugni sul tavolo.

Sono sempre stata un’amante del treno. Ritengo sia un mezzo di trasporto dal fascino particolare. Ma solo se portato avanti con un certo criterio, e con una certa qualità. Adesso ormai i treni degni di questo nome sono solo quelli che in pratica collegano Roma e Milano. Il resto non conta. Città importanti come Trieste, ma se vogliamo anche come Torino, sono penalizzate, sono dimenticate.

A dire il vero è un po’ di tempo che non vado in treno. Le mie condizioni fisiche non me lo permettono più. Farei troppa fatica. E forse avrei troppa nostalgia di quelli che erano i viaggi di un tempo. Quando varcare i confini della stazione significava lasciare la realtà e iniziare a sognare. Adesso prendere un treno, specialmente da queste parti, significa entrare in un incubo.

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