Che fatica leggere un libro se ti distraggono mail sms e giochini elettronici

A volte basta la magia di uno scrittore come Roald Dahl per far entrare un ragazzino nel mondo straordinario delle storie

Ai bambini di solito io non appaio come una persona noiosa, nemmeno quando i loro insegnanti mi chiamano a scuola per insegnare qualcosa che ha a che vedere con la scrittura. La maggior parte delle volte sono curiosi dei miei racconti e io delle loro domande, chiacchieriamo a ruota libera e ci divertiamo parecchio. Ora invece…

Guardo Simone che attende l’ora della festa per i suoi otto anni, gli occhi concentratissimi che brillano davanti allo schermo del Nintendo 3DS dove sta lottando per sconfiggere uno dei temuti capipalestra; guardo quel mondo incantevole che si compone e si modifica sotto i suoi occhi, sotto le dita che premono rapide le combinazioni di tasti – cosa ci faccio con un libro di Roald Dahl come regalo?

I bambini non leggono più. Gli adolescenti lo hanno sempre fatto a fatica, presi da ben più seducenti scoperte. Gli adulti non leggono proprio, ora meno che mai, con tutti i problemi che hanno per la testa. I vecchi leggono poco, perché non ci vedono e perché hanno la piscina, il teatro, i caffé con le amiche, il tresette con i vicini.

Proviamo con le categorie professionali. Gli insegnanti leggono? Sempre meno, assediati da tabelle, verbali, schede di valutazione. I capi delle grandi aziende? Per nulla, devono risolvere problemi in tempo reale e la lunga durata richiesta dalla lettura di un libro è vista con sospetto. I politici leggono? Ci mancherebbe, per loro la lettura è nemica giurata, con quel suo vizio di formare le coscienze, rendere indipendenti, capaci di analisi critica, pare ovvio che non le facciano un briciolo di pubblicità. E gli editori, quelli che lavorano là dove i libri si fanno, quelli leggono? Poco, manoscritti per lo più, e perché sono pagati per farlo, se possono evitano e si sono trasformati da lettori finissimi a badanti delle nevrosi degli autori, che in parte hanno contribuito a creare.

Siamo onesti, quasi nessuno ormai riesce a reggere un’ora di fila concentrato su una pagina, senza interrompersi per controllare la mail e rispondere a un messaggio su What’s up.

E allora, povero Simone, perché infliggere proprio a lui la difficile prova della lettura, come regalo di compleanno per giunta? La sua colpa è essere nato in una famiglia dove i genitori hanno tempo (e denaro) per vigilare che i propri figli non guardino la tv per troppe ore, non giochino troppo con i videogame, e invece li incoraggiano alla lettura. Una famiglia che frequenta amici che leggono e regalano libri.

Ecco, bastano poche righe, e già si sente sul collo il fascinoso e comodissimo luogo comune: la lettura è una questione d’elite. Di un piccolo gruppo – i genitori di Simone e i loro amici – che vive in case borghesi, con solide biblioteche costruite su misura e in cui ritirarsi a riflettere, attività per altro oziosa e esclusivo appannaggio di chi se lo può permettere. Come se non si riflettesse sui tram, in coda per la spesa, nella sala d’attesa del dottore.

Più i tempi si fanno difficili più la lettura diventa facile bersaglio di quel populismo che, temendola come si teme la buona coscienza, la addita co. me passatempo per un’elite tendenzialmente antipatica. Eppure basterebbe pensarci: non c’è elite più paradossale di quella dei lettori, dal momento che basta sapere leggere per farne parte.

Di nuovo Simone, incantato dal suo Nintendo 3DS. Mi chiedo in che modo consegnare il mio regalo, la mia bella storia di Roald Dahl, a un bambino che ha così tante, irresistibili, seduzioni.

Me ne vado dalla festa senza una risposta. Ho passato il tempo a chiacchierare con sua madre senza decidermi, e alla fine ho lasciato il mio colpevole dono nella sua stanza, in un silenzio un po’ solitario. Sebbene sia affezionata a Simone, non gli ho dato di persona il mio regalo. Non mi è venuta in mente nessuna buona ragione per cui dovrebbe preferire ai videogiochi un normalissimo libro, con tutta la sua aria démodé e la fatica che richiede. Non gli ho detto che leggere è importante, che è molto più divertente di Pokemon nero, non ho cercato il tono accondiscendente e serio che viene quando si racconta una bugia da adulti a un bambino.

Provo a pensarci sulla via di casa. In fondo gli ho regalato un libro perché Simone è un bambino cui voglio molto bene e volevo avesse da me qualcosa di prezioso.

Allora credo che la lettura sia qualcosa di sacro che ci rende persone migliori? No, per nulla. Ci sono un sacco di lettori forti che sono persone spregevoli. Qualche pagina di libro non rende più buoni e non sono nemmeno sicura che renda più semplice la nostra vita. Io non credo nei libri come medicina e neppure attribuisco loro una qualche utilità pratica. Leggere non “serve” proprio a nulla.

Però penso che la lettura abbia una peculiarità unica: non ci lascia mai uguali a noi stessi. Ci obbliga a una particolare introspezione che compiamo in modo strano, non concentrandoci su noi stessi, come capita di fare quando si medita o si riflette, ma abbandonandoci alla volontà creativa di un’altro – l’autore –, che ci trasporta in un mondo di cui non sappiamo nulla. Ed è così, attraverso il mondo inventato da uno sconosciuto, che noi scendiamo alla scoperta del nostro stesso mondo interiore.

Una settimana dopo sono di nuovo a casa di Simone per una cena tra amici. Lui dovrebbe essere già a letto all’ora del mio arrivo, invece ha avuto il permesso di scendere in pigiama perché deve dirmi una cosa. Ha finito di leggere Matilde, l’ha finito in un pomeriggio: «Ma c’è la continuazione?» chiede. «Quello scrittore ha scritto altri libri? Sai che la mia maestra di italiano è uguale alla signorina Spezzindue?»

Mentre mi racconta senza sosta ogni scena del libro, appena diversa da come me l’ero immaginata io leggendola anni prima, sua madre mi confessa che lui ha passato tutta la settimana ad esercitarsi per riuscire a spostare gli oggetti con lo sguardo, come la protagonista.

E allora alla vecchia domanda – perché leggere, in questo nostro mondo pieno di suggestioni più allettanti e a portata di mano, in questo mondo dove nessuno ci renderà merito per le nostre letture? –, Simone ha trovato la risposta che io avevo dimenticato.

Perché leggere è un piacere. Perché annoiati da stimoli e immagini, la parola scritta è una boccata d’aria pura: suscita in noi immagini, suoni, gesti, colori che non sono già precostituiti ma che vengono evocati da quei segni grafici e attingono al nostro mondo interiore, alle nostre esperienze, all’immaginazione di ogni lettore. E se, a dar retta ai filosofi, l’immaginazione è quella facoltà che più di ogni altra caratterizza il nostro essere uomini, allora leggere non ci renderà migliori, non ci servirà a conquistare posizioni di successo né a diventare più ricchi, forse non sarà utile nemmeno per sedurre un amato. Solo ci renderà più uomini.

federicamanzon

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