Cercando il battaglione di marinai triestini nelle trincee del Carso

A piedi, partendo dalla falesie di Duino, lungo le propaggini fortificate della prima linea durante il conflitto mondiale 1915-18
Marinai del See Battalion Triest posizionati a difesa delle falesie di Duino durante la Grande Guerra
Marinai del See Battalion Triest posizionati a difesa delle falesie di Duino durante la Grande Guerra

TRIESTE Luce trasparente sul golfo di Trieste. Argento che rimodula la vista, passo dopo passo. Sì, questo viaggio parte dal sentiero Rilke, da questa traccia calcarea a picco sulla Riserva Naturale. L'imbocco del sentiero come partenza. Lo zaino pesa. Fine del mare Adriatico, oppure il suo inizio.

Un viaggio lungo un fronte, congiungendo idealmente due monti spesso dimenticati. Dal monte Hermada al monte Nero, il Krn. Alcuni turisti tedeschi ci vengono incontro. Un saluto frettoloso, poi tutti per la propria strada. Altri fanno colazione nel campeggio. Rumore di passi. Uno dietro l'altro. Vicino ai ricoveri e postazioni d'artiglieria alcuni pannelli informativi. Acre odore di urina dentro il grembo della terra. Una ragazzina porta a spasso il cane. Quegli stessi pannelli sembrano buttati alla rinfusa, appoggiati in disordine sulle pareti carsiche di questo buco, punto d'osservazione sul mare. Che sia rimasto solamente il turismo in questo luogo? È mai possibile che non ci sia un altro modo per parlare di una generazione spazzata via dalla guerra?

Storia di un battaglione di marinai in trincea sul Carso. Eccoli, mentre riposano, mentre preparano la loro giornata. L'ammiraglio von Koudelka nel suo autobiografico "Rotta su Trieste" racconta dei giorni di guerra. L'immaginazione corre a granate da 305 che l'artiglieria italiana sparava verso le falesie e che spesso non esplodevano. Il See Battalion Triest allora recuperava l'esplosivo, utilizzandolo per scavare ricoveri e gallerie. Il solo pensiero metterebbe in fuga chiunque, oggi, noi abituati all'oblìo. Poi una rete arancione da lavori in corso taglia la strada. Un contenzioso tra l'ormai disoccupata Provincia di Trieste e l'anacronistica nobiltà che presidia il castello di Duino. Lavori in corso. Poi qualcuno sposta la rete e si passa. Collegio del Mondo Unito dell'Adriatico. Incrocio che porta alla vecchia stazione ferroviaria di Duino. Rumore di macchine, gas di scarico, l'insopportabile odore del traffico. Automobilisti diffidenti. Winfried Georg Sebald, direttamente da "Anelli di Saturno".

Paolo Rumiz e Nicolò Giraldi
Paolo Rumiz e Nicolò Giraldi

«Chi viaggia a piedi, senza essere riconducibile a un escursionista suscita immediata diffidenza». La vecchia stazione sembra abbandonata, ci sono vetri infranti dappertutto, un diffuso senso di desolata nostalgia. Il sole comincia a scaldare la giornata, mentre il monte Cocco si avvicina. Piccolo furgone nei pressi di una radura. Edvino Vatta è uno dei pochi soci della Società Alpina delle Giulie che si prendono volontariamente cura di questa zona. Ci dice che quei vecchi ruderi, nella piana di Kohiš„e, appartenevano ai Torre e Tasso e che da qualche tempo, in cima a un pilastro è comparso un numero civico e la denominazione sociale di un'azienda agricola. Arrotolando un filo di ferro parla di quello che forse faranno, un punto di ristoro per turisti che proprio per il Centenario verranno a visitare questa zona del fronte.
Guido Ceronetti nel suo "Un viaggio in Italia", si sofferma più volte su quanto pericoloso sia il turismo. «Il regno delle ombre, eccolo. L'inferno turistico è tra i peggiori perché ti senti sepolto, impiramidato nella sua stupidità, e hai paura di essere dimenticato là sotto, che nessuno venga a tirartene fuori». Predisposizione a radere al suolo l'autenticità dei luoghi e degli uomini. Forse. Forse no. Poi guerra tra associazioni. «Qualcuno cancella sempre i segni gialli dell'Alpina».

Caramelle alla menta. E cima del Cocco. Rumore metallico. Comincia la guerra. Taglialegna sullo sfondo. Postazioni d'artiglieria ribattezzate Marinelle. Resurrezione degli alberi. Buche invase dalla Natura. Poi scivoliamo verso la base del monte Hermada, ideale punto A del nostro itinerario. "L'Hermada maledetta" nelle parole di Fritz Weber in "Tappe della disfatta". A quella "indomabile bestia" i giornali italiani dedicavano pagine su pagine. La sua caduta avrebbe comportato la perdita di Trieste. Forse per troppo tempo abbiamo dimenticato questo monte, noi delle vecchie province. Vento che soffia. Bora chiara. Seconda ora di cammino. Gruppo di escursionisti friulani. «Sapete come son messe le trincee dalla parte di Medeazza?». Assenza di cartellonistica sulla Prima guerra mondiale.

Allora si parla d'altro. Invasione incontrollata dei cinghiali in alcune zone del Carso, età media dei cacciatori, punti di ristoro vicini. Ne parliamo veramente con cognizione di questa guerra che domina i boschi tutt'attorno? «Gli uomini assomigliano più al loro tempo che ai loro padri» da un proverbio arabo, saggezza dimenticata dall'occidente. Penna che scrive sul taccuino. Vecchio confine tra Italia e Slovenia.
Medeazza. Scuolabus giallo come nelle migliori pellicole. Studenti di madrelingua slovena. Targa commemorativa sul muro grigio di una casa. Italiani distruggono il paese nel 1917. Il nazifascismo nuovamente nel 1944. In meno di quarant'anni fatti sparire due volte. Chiaro che non amino il tricolore. Mangiamo un panino. In neanche venti minuti le nostre spalle caricano gli zaini e un passo dopo l'altro scendiamo verso la ferrovia. I treni sembrano sbuffare come cent'anni fa. 20 novembre 1915. Robert Musil preoccupato in treno verso l'Isonzo: «L'orizzonte rimbomba. Lunghi gruppi di feriti su carri e a piedi, un'eccitazione che ti assorbe». Fronte della guerra. Partenze di soldati, uniformi ancora intatte.

Da una lettera di Carlo Stuparich ad Anita Eritz, Monfalcone 25 luglio 1915. «Vuoi sapere di più della vita di campo? Dura dura. Ti narrerò un altro giorno come mi sarà possibile, perciò per farsene un'idea bisogna viverla proprio viverla». È qui che si inizia a comprendere questo fazzoletto di terra, concentrazione di fronti, di ricoveri, di battaglie, di uomini messi gli uni contro gli altri, di perpetue immagini di confini, di mura, di contaminazioni, di quella che in fondo, altro non è, che una terra di faglia. Rotolo una sigaretta. Dall'altra parte il Carso di Monfalcone e le testimonianze di don Celso Costantini raccontate da Bruno Bignami in "La Chiesa in trincea": «Gli austriaci alzarono un cartello con la scritta 'È Natale. Non sparate'». 1917. Storie nascoste. Lago di Pietrarossa. Moscerini come fiocchi di neve. Umidità. Ai piedi del Monte Debeli un escursionista raccoglie asparagi. Pietraia in salita e progetto di ripristino della landa carsica. Nessuna informazione sul conflitto. Cippo senza nomi. In fondo al Debeli, sul versante nord, spunta il blu elettrico del lago di Doberdò. Sull'altro versante della valle Casa Cadorna. Ignoranza collettiva, ammasso di rifiuti lungo il sentiero, pacchetti di sigarette gettati dalle automobili in corsa. Nella piazza all'inizio del paese un furgone offre un passaggio. Foto del Mladost, squadra di calcio del paese. Ritratto di Francesco Giuseppe. Due avventori leggono le notizie, in sloveno e italiano. Ancora salita, verso il riposo. Tramonto sulla valle sottostante. Poi buio. Centro Visite Gradina, vento da est - nord - est, bora.

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