Centro islamico a Monfalcone, la rabbia del sindaco Cisint: «Un atto di arroganza»
L’accusa di Cisint: «Presentato un progetto che non ha autorizzazioni. Escludo che quell’ex supermercato possa ospitare una moschea»
Anna Maria Cisint
MONFALCONE «Non hanno nessuna autorizzazione». Il sindaco Anna Maria Cisint lo scandisce bene e, per dare enfasi alle sue parole ed evitare equivoci, separa le consonanti. Ieri mattina la lettura del resoconto relativo alla presentazione pubblica dei progetti del centro culturale islamico nell’area dell’ex supermercato Hardi, organizzata domenica mattina dall’associazione Baitus Salat, l’ha mandata su tutte le furie.
«Via gli abiti buonisti», l’esordio, seguito subito dal nodo della questione. «Credo che sia molto grave e inaccettabile che nelle more di una procedura autorizzativa e abilitativa ancora in corso, sia stato dato per acquisito un progetto per l’apertura di questo centro islamico, la cui realizzazione e le fasi autorizzative, obbligatorie per legge, devono ancora essere approvate da parte degli uffici amministrativi». Parla lentamente. Soppesa le parole. Cerca di trattenere la rabbia, che però traspare comunque, e monta ad ogni frase. Parla di “arroganza grave”, il sindaco. A innescare la reazione sono state soprattutto le dichiarazioni di Bou Konate. L’ex assessore della giunta Pizzolitto ha sottolineato come, a Monfalcone, i migranti abbiano raggiunto ormai il 20% della popolazione totale. «Mi fa dire che io rappresento l’altro 80%», sentenzia Cisint prima di tornare al punto: «In uno Stato di Diritto uno dei principi fondanti è quello del rispetto delle procedure amministrative. Credo che le affermazioni che sono state fatte vadano verso una grave atteggiamento di indebite pressioni, che vedo anche come forme di intimidazione verso chi dovrà fare delle valutazioni. Allo stato attuale, è stata soltanto presentata un’istanza che verrà valutata dagli uffici. Trovo inconcepibile che si sia anticipato l’esito di un provvedimento che non è stato assunto».
Nel notare, quindi, che il progetto è al momento soltanto un progetto e che, secondo il piano regolatore, l’area è destinata a centro direzionale e non può quindi ospitare un centro di culto, il sindaco Cisint sottolinea: «Oltremodo gravi sono le funzioni che si vorrebbero dare a questo centro». Il primo cittadino ricorda infatti che il progetto parla di centro ricreativo e non di centro per la preghiera. «Oggi abbiamo avuto la dimostrazione effettiva, dalle vive parole virgolettate dell’ex assessore Bou Konate, che quello vuole diventare un centro religioso».
Sul fatto che né lei, né rappresentanti della sua giunta abbiano partecipato alla presentazione di via Primo Maggio, Cisint ribadisce: «Nessun progetto è stato approvato. Il sindaco non va e non fa partecipare l’amministrazione a iniziative che sono assolutamente sbagliate, su progetti che non esistono». Il prossimo passo sarà scrivere al governo nazionale e a quello regionale («Che non esistono», precisa) e a Fincantieri per denunciare come la realtà attuale, sia la conseguenza di una mancanza di gestione da parte di chi c’è stato fino a questo momento. «Oggi ci troviamo ad affrontare arroganze che citano percentuali che si sono realizzate a causa dell'incapacità, o della non volontà, di gestire un fenomeno come quello della “delocalizzazione al contrario”. Allora oggi, accanto a queste iniziative, parte una bella comunicazione perché è ora che il Caso Monfalcone venga preso in mano», tuona Cisint prima di ribadire: «Le moschee in Italia non sono previste, punto, e, per quanto mi riguarda, su questo non ci sono dubbi».
La presentazione pubblica del progetto di riqualificazione redatto dagli architetti Federico Fabbro e Roberto Franco è stata letta come una sfida anche sul piano ideologico, non solo tecnico: «Quasi quasi vogliono affermare che esiste una pregiudiziale contrapposizione tra i musulmani e gli altri. Questo hanno voluto fare», l’ipotesi di Cisint intenzionata a censurare ogni tipo di contrapposizione ideologica. Nel suo uffici non ci sono simboli religiosi. Solo quelli civili: le bandiere e la foto del presidente della Repubblica, a sottolineare la sua imparzialità. «Noi non abbiamo compromissione tra religioso e giuridico. Qua giuridico significa Stato di Diritto. Religione è un’altra cosa. Lo Stato di Diritto è una garanzia di tutti. Soprattutto di quell'80%, se permettete, che rappresento».
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