Centrale nucleare in Slovenia: il nuovo allarme dei geologi sulla sicurezza
BELGRADO Il dibattito sull’approvvigionamento energetico legato alla crisi del gas, dopo la guerra scatenata dalla Russia, riaccende i riflettori sulle centrali nucleari. Quantomai necessarie per mettere fine alla dipendenza dalle forniture di Mosca, secondo alcuni. Ancora troppo poco sicure, soprattutto perché inserite in contesti ambientai troppo fragili, a detta di altri. E proprio in questo contesto torna prepotentemente d’attualità anche il futuro dell’impianto di Krško. Che - secondo il duro J’accuse firmato da quattro specialisti di geologia, neotettonica e sismologia applicata, Giovanni Costa, Kurt Decker, Livio Sirovich e Peter Suhadolc, di cui Il Piccolo ha avuto visione e che sarà presentato pubblicamente nei prossimi giorni a Trieste -, non s’aveva da fare, già negli Anni Settanta del secolo scorso.
E di cui certamente non si dovrebbe prolungare la “vita” fino al 2043. Né tantomeno pensare a un raddoppio – ipotesi ormai sempre più concreta - perché si tratta di un impianto nucleare realizzato in un’area capace di generare terremoti potenzialmente disastrosi, un rischio troppo grande, anche per i Paesi vicini, Italia inclusa.
L’atto d’accusa è contenuto in osservazioni sottoscritte dai quattro esperti nel corso del procedimento formale di raccolta dei pareri sulla documentazione ufficiale presentata dal gestore dell’impianto, la Nek, inviate a Italia, Austria, Croazia e Ungheria. La documentazione riguarda l’impatto ambientale (Via) previsto per l’estensione della vita della centrale di Krško al 2043. La Via è stata depositata presso il ministero italiano della Transizione ecologica. E nasconderebbe un implicito allarme sul sito di Krško, svelano Costa, Decker, Sirovich e Suhadolc, da anni in prima linea sul tema.
Molte e inquietanti le critiche mosse alla Via dai quattro specialisti. In primo luogo, si legge nel documento, la Via «non avrebbe affrontato» le possibili conseguenze di un forte terremoto nell’area della centrale, se non in pochi generici passi. Ma avrebbe al contempo assicurato che, anche in caso di sisma, «l’impianto continuerà a funzionare come sempre, senza creare inconvenienti». Potrebbe non essere vero. Nella zona di Krško infatti si è verificato un terremoto con danni di grado VIII di intensità nel 1917 e la faglia di Orlica, a soli 2 km dall’impianto, potrebbe originarne anche di più forti in futuro.
Non solo. La Via sembra dimenticare, sostengono gli esperti, che «il reattore è stato ubicato a Krško quando della pericolosità sismica della zona non si sapeva quasi nulla». È questo il peccato originale della centrale, la denuncia dei quattro esperti. A metà Anni Settanta, quando Belgrado decise di puntare su quell’area per costruire la centrale, «si andò» infatti «alla cieca», senza uno studio di pericolosità sismica, ricordano gli specialisti. Ancora peggio, i costruttori decisero di realizzare un impianto capace di resistere a valori di accelerazione sismica pari a 0,3 g (g è l’accelerazione di gravità, nda), un parametro scelto arbitrariamente, ma nell’area sarebbero possibili sollecitazioni ben maggiori in caso di terremoto, si sa oggi.
Certo, anche la Via assicura che, nel corso degli ultimi anni, «tutti i nuovi edifici» a Krško e i nuovi «sistemi» di sicurezza implementati per la modernizzazione della centrale sono stati realizzati per resistere a un’accelerazione di 0,6 g. «Ma tutto il resto rimane sottodimensionato, ovviamente, perché non poteva venire ricostruito», osservano i quattro esperti. Che segnalano poi una vera “bomba”, nascosta tra le righe della Via. A loro avviso gli atti, depositati anche a Roma, ammettono che «l’accelerazione», che potrebbe portare a «un danneggiamento del reattore» con un potenziale rilascio di radioattività, è pari a 0,8 g, mentre l’integrità della piscina dove vengono custodite le barre di combustibile del reattore «non sarebbe compromessa fino a 0,9 g». Nello stesso passo, si ammette che terremoti con accelerazione di 0,8 g – dunque superiori allo 0,6 g a cui certi edifici di Krško dovrebbero oggi resistere mentre il cuore dell’impianto rimane dimensionato per 0,3 g - sono sì «molto rari al sito» di Krško, ma non certo impossibili e sono attesi nella zona circa ogni 50 mila anni.
L’intervallo di tempo sembra molto lungo – commentano i quattro – ma nei calcoli statistici in uso per dimensionare le moderne centrali è oggi ritenuto basso o molto basso, a seconda delle normative adottate. In parole povere, «il nucleo della centrale è gravemente esposto – si legge nelle osservazioni degli esperti - perché accelerazioni superiori a 0,3 g sono estremamente probabili per terremoti di magnitudo di circa 6 (come quello del 1917). La sicurezza degli edifici più recenti sarebbe invece affidata alla differenza tra i valori 0,6-0,78 e lo 0,8 che già comporterebbe danni al nocciolo». E nell’area non si può escludere un sisma con accelerazione anche superiore a 0,9 g.
Può succedere tra migliaia di anni? Possibile. Ma potrebbe accadere anche domani o fra qualche decennio, con Krsko 1 o 2 ancora attive. E allora gli esperti chiedono che, soprattutto in una fase come quella attuale segnata da forte interesse per la ricerca di energie alternative al gas e attenzione per il nucleare, come avviene da anni ad esempio in Austria, «l’opinione pubblica venga informata». Perché la centrale non è solo cosa slovena o croata.
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