Centrale a biomasse nel mirino di Wwf e residenti di Opicina
La società romana che vuole costruire ad Opicina una centrale elettrica alimentata a biomassa, ha avviato una “politica” del sorriso. Nella brochure che illustra l’iniziativa, la “Iit srl” sostiene che la realizzazione “favorisce l’autossufficienza energetica del territorio, svincolandosi da sorgenti energetiche fossili”. Afferma poi che “le tecnologie impiegate sono progettate e realizzate in Italia” e che “viene favorito lo sviluppo imprenditoriale regionale in ambito agricolo e industriale”. Tante parole, tanti sorrisi. Ma non sono mancate le reazioni preoccupate e le analisi che mettono a nudo tutti i problemi che la costruzione della centrale potrebbe sollevare.
Per intanto si sta ricompattando il Comitato che a Opicina un paio di anni fa si era opposto con cinquemila firme raccolte a tempo di record all’insediamento di un campo nomadi a Monte Grisa. Si sta ricompattando per chiedere chiarezza alle autorità comunali e regionali sull’eventuale costruzione della centrale elettrica a biomasse che la società “Iit srl” vuole realizzare nell’area un tempo occupata dalle officine ferroviarie Laboranti.
«Il nostro Carso va protetto da queste iniziative estemporanee e non coordinate» ha affermato l’avvocato Roberto Corbo, punto di riferimento del comitato.
Una precisa e dettagliata presa di posizione viene da un corposo documento diffuso dal Wwf. “E’ assai arduo – per non dire impossibile – che l’impatto ambientale della centrale a biomasse proposta ad Opicina possa essere positivo”.
“Al di là di pur importanti considerazioni di ordine paesaggistico e dell’impatto che una fonte di emissioni inquinanti nell’atmosfera, avrebbe sul territorio carsico, finora privo di impianti industriali, più ampio è il ragionamento che dovrebbe presiedere alla valutazione di progetti del genere”.
Secondo l’associazione ambientalista va tenuto conto di almeno due altri fattori: “Il primo è l’impatto ambientale complessivo della filiera, di cui la centrale farebbe parte. L’impianto proposto verrebbe infatti alimentato principalmente con olio di palma, prodotto da una piantagione di 10 mila ettari (100 km quadrati, metà della superficie della Provincia di Trieste) in Costa d’Avorio. Inoltre, andrebbe calcolato il costo energetico complessivo della produzione dei chilovatt previsti ad Opicina, considerando quelli legati alla coltivazione delle palme, alla raccolta e alla spremitura dei frutti, al successivo trasporto via mare e via terra dell’olio per migliaia di chilometri. E’ dubbio che alla fine il bilancio globale dell’operazione possa risultare energeticamente positivo.”
«Il progetto annunciato ad Opicina - sempre secondo il Wwf - è solo l’ultimo di una lunga serie di iniziative “industriali” più o meno avventurose: iniziative che trovano spazio per l’assenza di un piano energetico nazionale e regionale. Sarebbe ora per la Giunta ed il Consiglio regionale, di mettere mano a questo strumento, in assenza del quale ogni strampalata idea può tentare di accreditarsi. In questo ambito rientrano le reiterate esternazioni del presidente Renzo Tondo sul ruolo della Regione nella gestione e nel raddoppio della centrale nucleare di Krško, i tentativi di imporre a Trieste un rigassificatore, gli elettrodotti per importare elettricità da Paesi come l’Austria che ne importano anche loro, fino ai tanti progetti di centrali a biomasse, basate su uno sfruttamento irrazionale del territorio, spesso in concorrenza con le produzioni destinate all’alimentazione”.
Va infine detto che nell’area che fu delle officine Laboranti, secondo il progetto della Iit srl, dovrebbero essere ospitati i serbatoi per lo stoccaggio degli olii vegetali combustibili, i serbatoi ausiliari di biodiesel, acqua oleosa, acqua tratta, urea, olio lubrificante ed olio esausto. Inoltre sono previsti serbatoi per la riserva d’acqua antincendio e per il liquido schiumogeno.
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