C’è anche l’altra faccia dell’universo Google

Che tutti i benefici del campus abbiano invece portato prodotto, come effetto, il diffondersi di una cultura della superficialità? 

L'atmosfera del campus di Google è magica. Siamo a Mountain View, 60 km a sud di San Francisco, in piena Silicon Valley. Quando Google si è spostata qui nel 1999 aveva soltanto una dozzina di dipendenti e un motore di ricerca per pochi aficionados; ora gestisce un campus di 20mila persone, tutte giovanissime. Lavorano in grandi open space dentro una serie di palazzine basse, muovendosi dall'una all'altra sulle mitiche Gbike, le biciclette con i colori di Google, che si prendono e si lasciano liberamente, con un cestello rosso in cui appoggiare il computer. Rigorosamente Macintosh, perché Windows è vietato all'interno del campus (ufficialmente, per motivi di sicurezza).

Pranzano in una delle tante mense, affollano i café stile Starbucks con i propri laptop, prendono lezioni di yoga oppure giocano a tennis. Tutto gratis, naturalmente. Nel campus abbondano i parcheggi per le auto elettriche, un vero boom in tutta la California. E sono in bella mostra il prototipo di un'auto senza guidatore e le statue giganti con i simboli dei sistemi operativi Android. Sembra un grande campus universitario più che la sede di una azienda con una capitalizzazione in azioni di oltre 500 miliardi di dollari e un modello di business basato sulla pubblicità: sviluppano software gratis perché la gente lo usi, e usandolo vede la pubblicità; vendendo gli spazi pubblicitari, Google ogni anno fa un fatturato di 90 miliardi di dollari all'anno.

Ma non sono tutte rose e fiori. I facili guadagni delle digital company della Silicon Valley hanno fatto lievitare i costi delle case; ormai è impossibile trovarne una con meno di un paio di milioni di dollari. E ha snaturato le comunità locali, che lamentano l'invasione dei giovani nerd. Nell'ancora austera Stanford University a Palo Alto, una decina di chilometri a nord, qualcuno lamenta il fatto che far danaro facile con le app ha portato a una cultura della superficialità: quello che interessa non sono concerti, opere o dibattiti ma soltanto una connessione internet veloce. Ma queste riflessioni sociologiche interessano poco ai finanziatori di venture capital, che continuano ad arrivare a frotte in questa mitica terra.

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