Cavalli e scommesse all’Ippodromo di Trieste, un sito conteso vicino alle case Ater

La struttura di proprietà del Comune di Trieste è gestita dalla Nordest ma una società di atletica vorrebbe utilizzarla

Zeno Saracino
La tribuna a forma di vela dell’Ippodromo (Bruni)
La tribuna a forma di vela dell’Ippodromo (Bruni)

Risale alla fine dell’Ottocento, dopo diversi decenni durante i quali la passione per le gare di cavalli si era espressa attraverso molteplici maneggi in via Rossetti, la costruzione dell’Ippodromo di Montebello: nel 1890 il cavalier Antonio de Volpi costituì un comitato di raccolta fondi volto a promuovere la costruzione del complesso sportivo, incontrando l’entusiasmo della borghesia triestina.

Come era già avvenuto in altre occasioni (ad esempio con la sede della Società Ginnastica Triestina nel 1871) la risposta fu tanto immediata quanto generosa: le 195 mila corone raccolte consentirono di acquistare un’ampia area presso via Settefontane, a fianco della campagna Wildi. Volpi organizzò poi un’apposita Società delle Corse che, acquisito il terreno dal Comitato, diede il via alla costruzione.

L’edizione del mattino de Il Piccolo del 3 settembre 1892 spiegava che “nel progetto primitivo le tribune erano ideate in pietra, le scalinate pure in pietra e più larghe delle attuali con grandi arcate, ed i palchi in ferro. L’insieme avrebbe arieggiato il carattere di un Anfiteatro romano, ma il progetto, per quanto bello, dovette essere modificato per riguardi finanziari”.

Le limitazioni dei fundraising vittoriani portarono invece a delicate, ma ornate tribune e palchi di legno: gli artigiani locali, riconoscendo il valore dell’opera, vi infusero quel florilegio di stelle, fiori e foglie caratteristico del liberty. Sotto il profilo tecnico l’ippodromo, progettato da Ruggero Berlam, presentava una pista ellittica, con posti di primo, secondo e terzo posto, oltre agli stalli per le carrozze.

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Lo stallone russo “Drug” dell’imprenditore Artelli, del quale sopravvive l’omonima villa tra via Università e via Corti, vinse la prima gara il 4 settembre 1892: affluirono 15 mila persone, con un giro di scommesse di (quasi) 5 mila fiorini e un premio di 1.500 franchi d’oro al cavaliere vincente. La scelta di questa valuta consentiva, all’interno delle punzecchiature cripto irredentiste del periodo, di sostenere le scuderie italiane, altrimenti in difficoltà a fronte della debolezza della “nuova” moneta italiana.

L’ippodromo conobbe un notevole successo fino alla prima guerra mondiale, accompagnando le proprie gare con una copiosa produzione pittorica: Giuseppe Barison era affascinato dai cavalli dell’ippodromo e una scena di gara compare in un vivace quadro di Alfredo Tominz.

Utilizzato per breve tempo, durante la prima guerra mondiale, quale terreno dove coltivare rape e patate, l’Ippodromo fu poi recuperato dai genieri italiani e utilizzato nell’occasione di cerimonie e feste, di solito a carattere patriottico: la festa d’armi della Terza Armata vittoriosa il 19 gennaio 1919 e l’XI Concorso Ginnastico Nazionale tra il 22 e 25 giugno 1922. In quest’ultima occasione, alla presenza di tremila atleti e del principe Umberto di Savoia, l’ex legionario fiumano Vittorio Marchisio recapitò la lettera di Gabriele d’Annunzio dove si coniava il nuovo motto della Ginnastica Triestina, “Stricto Gladio Tenacius”.

Sempre il 1922 segnò la ripartenza delle corse con i cavalli, col passaggio dal 1937 alla Società Triestina Trotto, la quale ebbe il compito di traghettare l’Ippodromo al secondo dopoguerra, quando l’architetto Romano Boico costruì tra il 1951-58 l’odierno palco con una sinuosa pensilina, tale da ricordare una vela colpita dal vento.

Oggigiorno la struttura, di proprietà del Comune di Trieste, viene gestita dalla Nordest Ippodromi che ha aperto alla possibilità di gare sportive e di utilizzi non strettamente legati alla semplice corsa. Ricordiamo che, dietro autorizzazione del ministero dell’Agricoltura, l’Ippodromo conta quale centro di allenamento e pertanto può ospitare cavalli stanziali. Negli ultimi tempi si sta ragionando se il futuro dell’Ippodromo risieda solo nell’ippica, “staccandosi” però dalla sola matrice della scommessa, o se in un uso promiscuo, legato a un ripensamento dell’area come vorrebbe una società di atletica. —

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