Casson: «I decessi da amianto sono destinati a salire tra il 2020 e il 2025»
TRIESTE. «Oltre al dovere civico e morale i magistrati hanno anche il dovere giuridico di includere tra le priorità lo svolgimento dei processi in materia di salute dei lavoratori». Ai tempi del suo operato in magistratura Felice Casson, oggi senatore del Partito democratico, ebbe modo di confrontarsi a fondo con il dramma dell'amianto e delle sue terribili ripercussioni su territori come quello di Porto Marghera, di cui si occupò indossando la toga. Intrapresa la via della politica, ha deciso di fare della lotta all'amianto una delle sue bandiere. Ai suoi occhi la sentenza in primo grado pronunciata nell'ottobre del 2013 dal tribunale di Gorizia nell'ambito del processo ai dirigenti Fincantieri ha «una grande importanza». Ragion per cui non bisogna «abbandonare la questione».
Senatore Casson, la lentezza del processo sull'amianto nei cantieri di Monfalcone sta destando una certa preoccupazione. Sono passati ormai sedici mesi e le motivazioni della sentenza non sono ancora state depositate. Lei ha avuto modo di conoscere la realtà del nostro territorio, cosa ne pensa?
La preoccupazione della cittadinanza e delle famiglie delle vittime dell'amianto è certamente fondata. Ho avuto occasione di venire a Monfalcone più volte a parlare di amianto, così come sono stato in altri luoghi del Friuli Venezia Giulia come Gorizia, Trieste, Udine. Ricordo che qualche anno fa, quando Beniamino Deidda era ancora procuratore generale, avevamo ragionato sulla possibilità di costituire un pool di magistrati incaricati espressamente di seguire il problema dell'amianto nel Monfalconese. All'epoca Deidda aveva agito molto bene e la sentenza a cui si è arrivati credo sia molto importante. Per questo penso che non si debba abbandonare la questione.
Com'è possibile che anche in caso di processi tanto importanti si verifichino ritardi che rischiano di compromettere l'esito del procedimento?
In parlamento avevamo inserito su mia proposta una norma che indica tra i criteri di priorità per i magistrati anche lo svolgimento dei processi in materia di salute dei lavoratori. Per cui, oltre al dovere civico e morale, c'è anche un dovere giuridico che impone di affrontare con la massima rapidità ed efficienza queste materie. Purtroppo stiamo parlando di delitti che vanno rapidamente in prescrizione, ed è un problema di cui la magistratura deve assolutamente tenere conto, visto il significato di questi processi per le vittime dell'amianto e per le loro famiglie.
La politica può fare qualcosa per risolvere questa situazione?
L'istanza in questo caso non deve essere politica, devono essere i magistrati a fare in modo di evitare la prescrizione. Anche i trasferimenti d'ufficio devono arrivare dopo il completamento dei processi. E i processi sono completati dopo la deposizione delle motivazioni della sentenza. Altrimenti si rischia di sequestrare il diritto dei cittadini ad un procedimento compiuto.
Lei ha conosciuto il problema dell'amianto come magistrato e ora come politico. Ha anche scritto un libro sull'argomento. Qual è la situazione in Italia?
Dal punto di vista sanitario la situazione è grave, poiché il picco dei morti è previsto fra il 2020 e il 2025: le malattie correlate all'amianto impiegano tempi lunghissimi a manifestarsi.
Sul fronte politico cosa si è fatto e cosa si sta facendo?
In ambito legislativo si stanno prendendo delle iniziative. Io e altri parlamentari, ad esempio il collega Carlo Pegorer per il Friuli Venezia Giulia, siamo firmatari di diversi disegni di legge volti a venire incontro alle esigenze dei lavoratori e delle vittime dell'amianto. Stiamo letteralmente tempestando i ministri competenti su questa materia, anche se purtroppo spesso ci viene posta l'opposizione della questione finanziaria. Ci sono però diversi ambiti su cui c'è spazio di manovra e sui quali siamo intenzionati ad ottenere dei risultati.
Che genere di ambiti?
Ad esempio bisogna intervenire sugli enti previdenziali perché non ostacolino l'accesso dei lavoratori danneggiati dall'amianto alle misure di sostegno a cui hanno diritto. Dovere degli enti previdenziali dovrebbe essere al contrario favorire il riconoscimento dei diritti delle vittime.
Il caso di Casale Monferrato. La prima sezione della Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna emessa nei confronti magnate svizzero Stephan Schmidheiny nel maxiprocesso Eternit per avvenuta prescrizione. Una scelta che ha suscitato un'ondata di indignazione. Lei cosa ne pensa?
Io penso che la Cassazione abbia sbagliato. L'ho detto da subito e lo penso tuttora: giuridicamente era possibile confermare le sentenze di condanna in primo e in secondo grado. Le norme si potevano interpretare a favore o contro i lavoratori e le vittime di quel che è successo a Casale Monferrato. La Cassazione ha effettuato una scelta che io non condivido, ovvero di interpretare le norme contro l'interesse dei lavoratori. E non era vincolata a farlo.
Alle volte il cittadino ha l'impressione che troppo spesso si facciano scelte in questo senso, in politica come in magistratura.
Penso che bisogni saper distinguere tanto in politica quanto in magistratura. In ambo i settori operano tante persone che credono veramente nei diritti e nella salute dei lavoratori, e queste persone si impegnano perché quei valori vengano affermati. E per farlo bisogna saper capire, leggere le carte e operare delle scelte.
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