Caso Stamina, inchiesta penale verso la conclusione
Venti indagati, dodici nel primo filone più otto nel secondo che si concluderà nelle prossime settimane. Ecco l’inchiesta penale su Stamina, condotta a Torino dai carabinieri del Nas e dal pubblico ministero Raffaele Guariniello. Al centro, naturalmente, c’è Davide Vannoni, il papà della nuova metodica: «a suo dire neuroscienziato», come si sottolinea maliziosamente nelle carte processuali, «animato di fatto dall’intento di trarre guadagni da pazienti con malattie degenerative senza speranza» (malattie che per qualcuno, secondo una testimonianza acquisita nel corso dell’indagine, erano «fortunatamente in aumento»).
Poi c’è Marino Andolina, medico chirurgo, all’epoca coordinatore del dipartimento trapianti all’Ircss ospedale infantile Burlo Garofalo di Trieste, che aiutava Vannoni e «faceva firmare dai pazienti il modulo del consenso informato»: una copia del suo libro, «Un pediatra in guerra», dove ripercorre il caso Stamina e «paradossalmente» - scrive - si augura che sia proprio Guariniello a fare chiarezza, è stato recapitato al magistrato.
Gli ultimi otto indagati sono medici e manager che hanno facilitato l’ingresso della terapia «a uso compassionevole» negli Spedali Civili di Brescia. Che oggi sono stati criticati da Guido Rasi, direttore dell’Aifa dal 2008 al 2011 e attualmente direttore dell’Ema (European medicine agency) durante l’audizione in commissione sanità al Senato. A Brescia «si è certamente fatto confusione, non so se volontariamente o meno, tra le cure compassionevoli e le terapie avanzate». E si è voluto «far passare le terapie di manipolazioni cellulari come trapianti, cosa che è una grossa imprecisione». Il comitato etico dell’ospedale «non si è mai preoccupato di utilizzare una metodica che nessun altro aveva» e che l’Aifa «non sapeva nemmeno che esistesse». L’agenzia «non ha mai ricevuto alcuna documentazione o richieste da valutare».
Guariniello e i suoi collaboratori stanno tirando le somme per decidere i capi d’accusa: finora sono state contestate a vario titolo l’associazione per delinquere, la truffa, la somministrazione di medicinali imperfetti o «in specie e qualità diverse da quella dichiarata o pattuita». La terapia, secondo le indagini, non ha avuto effetti positivi sui pazienti, ma se avesse aggravato la loro condizione, o addirittura provocato dei decessi, potrebbero scattare reati gravi come le lesioni o peggio. (Ansa)
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