Caso Resinovich, tumefazioni e sangue sul volto: «Ma non sono segni di violenza»

Ecco la relazione definitiva del medico legale Costantinides e del radiologo Cavalli
Laura Tonero Gianpaolo Sarti

TRIESTE. La tumefazione alla palpebra. L’emorragia in testa. Il sangue alla lingua e alla narice. Tracce lievi, ma che inevitabilmente sollevano interrogativi. Cosa è successo a Liliana Resinovich prima di morire? È stata aggredita? C’è stato un litigio? O si è fatta male da sola, magari cadendo accidentalmente?

I dubbi – gli ennesimi – emergono dalla relazione definitiva sul misterioso decesso della sessantatreenne triestina, firmata dal medico legale Fulvio Costantinides e dal radiologo Fabio Cavalli, entrambi nominati dalla Procura. Finora circolava solo una bozza del documento, ora invece l’incartamento è ufficiale ed è sulla scrivania del pm Maddalena Chergia.

La relazione ripercorre gli esiti dell’autopsia, della Tac e del test tossicologico sul cadavere della donna, sparita il 14 dicembre e trovata morta in due sacchi neri nella boscaglia dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni il 5 gennaio. Ecco la conclusione: «Gli aspetti cadaverici – si legge nel documento – suggeriscono una morte asfittica tipo spazio confinato». Un soffocamento causato dai sacchetti di plastica, Plastic Bag Suffocation (Psb), così la letteratura scientifica, in cui era infilata la testa, sebbene non fossero «significativamente» stretti al collo con il laccio.

Lilly si è dunque suicidata? La relazione, a riguardo, contiene una obiezione categorica a questa ipotesi; una obiezione che porta la firma del consulente a cui si è affidato il marito Sebastiano Visintin: il dottor Raffaele Barisani, secondo cui l’analisi degli elementi del caso «rende improbabile» il suicidio.

Morta 48-60 ore prima della scoperta

Lilly era scomparsa da casa il 14 dicembre. Il cadavere è stato scoperto il 5 gennaio. La relazione definitiva fissa il decesso a 48-60 ore circa prima del rinvenimento del corpo. D’altronde l’autopsia non ha rilevato gas e processi putrefattivi «ragionevolmente attendibili dopo tre settimane di permanenza del cadavere all’aperto». Ma questo, come annotano proprio Costantinides e Cavalli, è in contrasto con altri elementi che collocherebbero invece il decesso alla data della scomparsa, la mattina del 14 dicembre: il contenuto gastrico (i resti di una colazione), la pelle depilata e gli abiti della salma che corrispondevano a quelli indossati il giorno in cui Lilly era sparita.

Le tumefazioni a volto e testa

Un imbrattamento ematico alla narice destra «di entità modesta e che non corrisponde a lesioni nasali», la palpebra destra «apparentemente» tumefatta (ma nulla di particolare si notava poi in sede autoptica), la lingua con una piccola infiltrazione emorragica a destra, una infiltrazione emorragica a livello del muscolo temporale sinistro e piccole emorragie sotto il cuoio capelluto. Cosa raccontano queste ferite? «Ciò non permette di affermare che la donna sia stata picchiata – osservano gli specialisti – essendo lesività che può anche essere accidentale o legata all’asfissia». Ma, ribatte Barisani, «gli stessi rilievi potrebbero avere una causa non accidentale, bensì il significato di lesioni inferte da terzi». Gli stessi Costantinides e Cavalli aprono – ancora – all’ipotesi «non del tutto escludibile e in via teorica» di una eventuale aritmia cardiaca sopravvenuta durante un litigio.

Morte da sacchetto

I consulenti della Procura spiegano come una fine causata da “Plastic Bag suffocation” (Psb), detta anche “morte da sacchetto”, non sia «un mero suggerimento in termini probabilistici, ma deriva dalla obbiettività macro-microscopica e dall’esame della Tac». «Una concentrazione di ossigeno nell’aria (normalmente del 20,9%) che sia pari al 16% – precisano – risulta pericolosa e letale. Concentrazioni del 5% determinano rapida perdita di coscienza e morte in pochi minuti».

Il consulente del marito

Barisani indica come «improbabile» il suicidio. E pur riconoscendo che l’analisi del cadavere «deponga per una morte recente», ritiene che valutando altri elementi (colazione nello stomaco, abiti puliti, depilazione, tracce di una sostanza che si trova nei detersivi che il corpo elimina rapidamente) ritiene «improbabile un decesso avvenuto pochi giorni prima del ritrovamento». Per il consulente di Visintin, è «percorribile l’ipotesi di un decesso sopravvenuto, in corrispondenza della data della scomparsa, a causa di un malore mortale, conseguito, in presenza di agenti terzi, a un diverbio con colluttazione fisica». Tra le possibilità indica «la permanenza del cadavere in luogo freddo, atto in qualche modo alla conservazione della defunta».

Escluso il congelamento

Ma l’ipotesi della conservazione del corpo in un luogo freddo, secondo i periti della Procura Costantinides e Cavalli è altamente improbabile. «In caso di scongelamento, sono visibili, specie a livello della base cerebrale, minute bolle gassose, che nel nostro caso mancano del tutto», precisano, spiegando inoltre come un corpo tenuto più semplicemente in luogo fresco rallenti e non arresti

Riproduzione riservata © Il Piccolo