Caso Resinovich, lo zoologo Bressi: «Il luogo del ritrovamento alterato dall’uomo»
Il consulente sull’area dell’ex Opp di Trieste: «Inattendibili i test sulla presenza della fauna selvatica»
«Compiere ora dei test in quel fazzoletto di terreno, per raccogliere dati su quali animali lo frequentino, è totalmente inutile, perché l’uomo ormai ha “inquinato” quell’area».
Lo zoologo Nicola Bressi, consulente a titolo gratuito dell’associazione Penelope che affianca i familiari di Liliana Resinovich nel percorso che mira a far luce sulla morte della 63enne, non ha ancora depositato la sua relazione. Nella quale racconterà con precisione quali animali nel 2021 popolavano l’area dove, il 5 gennaio del 2022, è stato trovato il corpo dell’ex dipendente regionale.
Ma alcune considerazioni del professionista, che verranno a breve messe nero su bianco, si possono anticipare.
Il suo approfondimento mira a fare chiarezza sull’azione che gli animali selvatici avrebbero o meno dovuto esercitare sul cadavere. Elementi che potrebbero avvalorare o scartare l’ipotesi che il corpo possa essere rimasto esposto per settimane tra quelle sterpaglie. Una premessa: negli ultimi mesi, come Il Piccolo aveva già riportato, lì sono stati tentati degli esperimenti – non da parte dei consulenti della Procura – anche con delle foto-trappole per tentare di catturare delle immagini degli animali selvatici che popolano quell’area boschiva.
I test sono stati eseguiti nel corso di una sola notte e in un periodo dell’anno diverso da quello a cavallo tra dicembre e gennaio. In quel contesto, ad essere stati ripresi mentre mangiano un’esca sono stati solo due gatti. «Già il fatto che il periodo sia diverso può avere un peso – precisa Bressi – e poi va seriamente valutato come quel area della boscaglia negli ultimi anni sia stata calpestata, frequentata costantemente dall’uomo: dalle troupe televisive agli appassionati del turismo macabro, da curiosi a esperti».
Lo zoologo fa notare che «la terra, l’erba, sono battute, l’odore dell’uomo è percepito dall’animale selvatico, che quindi considera diversamente quella che è diventata una sorta di piazzola».
Il professionista, quindi, reputa che ci si debba affidare a quella che era la situazione di allora, «e che non è ripetibile, perché lo scenario è cambiato».
Bressi ha già evidenziato come, a suo avviso, sia pressoché impossibile che il corpo sia rimasto in quel bosco per settimane senza riportare il minimo segno di un selvatico.
Da segnalare come nel parco di San Giovanni ci sia una colonia felina, ben curata, e chi la gestisce ha più volte, negli anni, raccontato di incursioni di animali selvatici, di cinghiali verosimilmente vista l’entità dei danni, con le casette per i gatti buttate all’aria e il cibo divorato. —
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