Caso Resinovich, il perito: «Lilly e quelle lesioni sul corpo: ecco perché non regge l’ipotesi suicidio»
TRIESTE «Un caso ancora da scrivere, complicato perché l’hanno reso complicato». Vittorio Fineschi, professore ordinario di Medicina legale alla Sapienza, è il perito di parte del fratello di Liliana Resinovich. L’associazione Penelope ha affidato a lui e al medico legale triestino Stefano D’Errico il compito di “leggere” quello che ha raccontato il corpo della 63enne ritrovato all’ex Opp il 5 gennaio 2022. Fineschi è una figura di peso nella medicina legale: vanta una serie di esperienze in casi complessi e molto noti anche a livello mediatico.
È stato infatti il perito di parte della famiglia Cucchi, su incarico della Procura di Roma ha effettuato l’esame autoptico sul corpo di Giulio Regeni, è il medico a cui si deve la ripartenza delle indagini sulla morte del calciatore Donato Bergamini. La relazione firmata da lui e D’Errico può costituire il grimaldello più efficace nelle mani dei legali della famiglia Resinovich per aprire la strada dell’opposizione alla richiesta di archiviazione delle indagini sulla scomparsa e sulla morte di Lilly avanzata dalla Procura.
Partiamo delle lesioni. Cosa rileva?
«Che in sede di sopralluogo viene descritta una serie di lesività al volto, come quelle alla palpebra superiore destra, e sul labbro. Ce n’è una anche all’orecchio. Nella stesura della relazione però non vengono approfondite. Sulla parte sinistra si nota un’emorragia a livello del muscolo temporale, quindi c’è un fatto contusivo. Poi ci sono delle lesioni alle mani. La signora muore quasi con certezza per un’asfissia da confinamento, ma quelle plurime lesività certamente non se le è prodotte mettendo la testa nei sacchetti, quindi?».
I consulenti della Procura ipotizzano possa essere caduta.
«I pantaloni e il giubbotto vengono descritti come puliti. Se è caduta, come mai non si è sporcata? Perché bisogna parlare di caduta se non c’è un dato oggettivo: è un’invenzione. La consulenza fatta per la Procura è giustificativa, cerca per forza di arrivare a una conclusione, e non interroga».
Quando è morta Liliana? «Al momento non possiamo escludere che Liliana sia morta il giorno della sparizione e che il corpo sia stato conservato per alcuni giorni altrove, in un luogo con temperature basse, perché non sono stati fatti i passaggi utili a risolvere questo quesito. Il 5 gennaio viene ritrovato il corpo, l’8 viene eseguita la Tac e il 10 l’autopsia. Visto il caso, perché si è atteso tanto? Il giorno del ritrovamento del cadavere non è stata presa la temperatura rettale, cosa che invece esegue sempre un medico legale. Quello che viene descritto nella perizia dai consulenti della Procura è soggettivo, ci sono delle carenze metodologiche. E poi mi chiedo: perché il corpo era rigido tranne che a livello di rachide cervicale? Non si sono posti neppure questa domanda».
Lei che risposta dà?
«Che probabilmente quel corpo è stato manipolato».
Come spiega il fatto che in sede di esame radiologico sia stata rilevata l’assenza di gas di putrefazione?
«È compatibile con un cadavere che è stato dimorato a temperature basse, e una volta trovato e rimosso è stato conservato in obitorio a 12 gradi: questo rallenta la formazione dei gas putrefattivi. C’è poi un’ulteriore imprecisione: viene indicato che Liliana potrebbe essere morta massimo 48-60 ore prima, ma rispetto a quando fanno la Tac, non a quando è stato trovato il corpo».
Lei ha messo in evidenza il fatto che un piede e una mano risultino macerati. Cosa può essere accaduto?
«Che hanno soggiornato in un luogo molto bagnato».
Avrebbe un senso riesumare il cadavere?
«No, ormai potrebbe dirci molto poco, è passato molto tempo. Invece io dico: rivalutiamo tutto, rivalutiamo il caso nel suo insieme, altrimenti è un atto di fede. Non ci sono dati coerenti con il suicidio. Quale è la ratio di dire che si è tolta la vita? Era depressa? No. Ha lasciato un biglietto? No. Quindi il dato del suicidio e quello dell’omicidio hanno la stessa forza».
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