Caso Resinovich, botanica e studio sulle piante: «Lilly lì da 21 giorni? Improbabile»
Consegnata la relazione dalla consulente Vidali sull’area dell’ex Opp di Trieste in cui è stato ritrovato il corpo della donna: «L’edera sotto il corpo sarebbe ingiallita»
«Se il corpo di Liliana Resinovich fosse rimasto per tre settimane in quell’area dell’ex Opp, nel punto preciso dove è stato trovato lo strato erbaceo, costituito perlopiù da edera, sarebbe risultato schiacciato e le foglie sarebbero ingiallite, non ricevendo luce. Invece non era così».
Marisa Vidali, già curatrice dell’erbario al Dipartimento di Scienze della vita dell’Università di Trieste e per oltre quarant’anni al fianco del noto naturalista Livio Poldini, collaborando con lui anche a diverse pubblicazioni, ha steso una corposa relazione per l’associazione Penelope, che nel caso Resinovich affianca legalmente il fratello e la nipote della 63enne.
I due aspetti analizzati
Il documento della consulente è appena stato depositato in Procura. E analizza due aspetti. Il primo si concentra sulle specie di piante presenti in quell’area. E in questo caso, la ricerca è in linea con quanto indicato da Francesco Boscutti, il consulente incaricato dalla Procura di Trieste di stendere la medesima ricerca. Vidali però si concentra anche sui dati meteorologici.
«Nelle settimane che hanno separato la scomparsa della donna al giorno del ritrovamento del suo corpo, ovvero dal 14 dicembre 2021 al 5 gennaio 2022 – spiega basandosi sui dati storici di Osmer-Arpa – ci sono stati più episodi piovosi, con esattezza il 21, il 24 e il 26 dicembre e poi il 3 e il 4 gennaio, mentre il 5 gennaio ha piovuto dopo il ritrovamento di Liliana, quando il corpo era già stato protetto».
I sacchi neri puliti
Elementi che per la professionista stridono con i sacchi neri infilati sul corpo della donna, perfettamente puliti. «Avrebbero dovuto essere sporchi di schizzate di terra, di foglie accumulate ai bordi con il vento, e l’assenza di queste evidenze porta a escludere che il corpo di Liliana sia rimasto lì per tutte quelle settimane».
Alte temperature
Riguardo alle temperature, «che erano superiori alla media», precisa, «ho preso in esame – continua – i dati delle centraline del Molo Fratelli Bandiera, sulla costa, sotto al cimitero di Cattinara e delle stazioni sul Carso, quella di Sgonico e di Prosecco, dove notoriamente le temperature sono più basse che in città».
I grafici allegati alla relazione di Vidali mostrano che «nella maggior parte delle giornate non si andava sotto i 4 gradi, che è la temperatura alla quale vengono conservati i corpi». Guardando alle temperature medie e massime di giornata, in alcuni casi si sono toccati anche i 17 gradi: temperature che non possono aver contribuito certamente alla conservazione del corpo», constata Vidali.
Le piante presenti
Che quella zona nella parte alta dell’ex ospedale psichiatrico non raggiunga temperature particolarmente basse, per Vidali è confermato anche dalle piante, «dalla presenza di specie che sono di tipo sub-mediterraneo, quali l’edera, il pungitopo, l’alloro, che sono indice di una temperatura più mite, più calda di quella che abbiamo sull’Altipiano, tenendo conto anche che quella zona è esposta a Sud-Ovest, quindi comunque più riparata».
Le conclusioni
Mettendo in fila questi aspetti, per Vidali il corpo di Liliana non può essere rimasto in quel punto per settimane. Considerazioni che collimano con quelle dello zoologo Nicola Bressi, che a breve consegnerà la sua relazione all’associazione Penelope.
«Continuiamo a individuare delle storture – sottolinea l’avvocato Federica Obizzi, referente dell’associazione Penelope per la nostra regione – che ci portano a ritenere che il corpo di Liliana non sia rimasto lì tutti quei giorni e che non sia neppure arrivato lì per conto suo. Tutte le strade che stiamo battendo – conclude Obizzi – arrivano alla stessa conclusione».
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