Caso Regeni: nuovo vertice dei Pm
ROMA. I magistrati italiani ed egiziani che indagano sul caso di Giulio Regeni torneranno a incontrarsi nei prossimi giorni. La nuova riunione è stata fissata per l'8 e 9 settembre a Roma, su richiesta della procura italiana. Ed è la prima dopo che i due incontri della primavera scorsa avevano lasciato insoddisfatti inquirenti e governo italiani per la scarsa collaborazione delle autorità egiziane.
Al nuovo vertice parteciperanno il procuratore Giuseppe Pignatone, il sostituto Sergio Colaiocco e, per gli egiziani, il procuratore generale Nabil Ahmed Sadek e il team di magistrati creato per indagare sulla morte del giovane ricercatore, scomparso al Cairo il 25 gennaio e ritrovato morto il 3 febbraio sul ciglio della strada che porta ad Alessandria.
All'incontro verrà fatto il punto sulle indagini dopo i documenti che gli uffici giudiziari si sono trasmessi tramite rogatoria negli scorsi mesi, come avevano richiesto i pm di piazzale Clodio. E mentre l'Egitto aspetta che l'ambasciatore italiano Giampaolo Cantini si insedi al più presto al Cairo, in Italia resta forte la domanda di «verità per Giulio».
Nuovi particolari sembrano emergere anche dall'inchiesta della trasmissione Rai 3, Presa diretta, andata in onda ieri sera: l'ex ufficiale della polizia egiziana, Omar Afifi, sostiene che «Regeni è stato arrestato e torturato da poliziotti in borghese e da uomini dei servizi segreti perché sospettavano che fosse una spia straniera che stava svolgendo attività di spionaggio in Egitto».
Lo stesso Afifi avrebbe ipotizzato inoltre che il presidente Abdel Fattah al Sisi, appreso della morte di Regeni, abbia chiesto che apparisse come un incidente stradale. Così come effettivamente dichiararono le autorità egiziane immediatamente dopo il ritrovamento del cadavere.
Nel programma Rai hanno parlato in un’intervista registrata anche mamma e papà Regeni, Paola e Claudio, determinati, lucidi, dolenti e intelligenti, «non rassegnati ma decisi a ricordare continuamente al nostro governo che dopo tutti questi mesi per la morte del figlio non c'è ancora verità e che il rapporto di “amicizia” con il governo egiziano e gli interessi economici in ballo non devono prevalere».
Intanto, dopo più di 100 giorni nel carcere di Torah, in condizioni di salute che sono andate via via deteriorandosi, è stato scarcerato al Cairo il noto avvocato egiziano e attivista per i diritti umani Malek Adly, il primo a denunciare la scomparsa di Giulio Regeni.
L'uomo è tornato l’altro ieri in libertà su decisione della Corte d'Assise del distretto di Shubra El-Kheima, nel governatorato di Qalyubiya, cui il suo legale aveva presentato un appello. Adly era stato arrestato lo scorso maggio con l'accusa di aver istigato le manifestazioni di piazza non autorizzate del 25 aprile contro la decisione di cedere due isole del mar Rosso all'Arabia saudita, e di aver tentato di rovesciare il regime.
Il 17 maggio i familiari del ricercatore italiano avevano segnalato il suo caso chiedendo a rappresentanze diplomatiche, ong e media di seguirlo da vicino per evitare un accanimento giudiziario. E della vicenda si era interessata anche Amnesty International.
La notizia della scarcerazione è stata «accolta con soddisfazione» anche dalla Farnesina. «Si tratta di un segnale incoraggiante, ancorché circoscritto», ha commentato il ministero degli Esteri in una nota, auspicando che «possano seguire provvedimenti di segno analogo nei confronti di altri attivisti, fra cui studenti universitari, attualmente detenuti nelle carceri egiziane».
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