Caso Regeni, «La via del dialogo col Cairo? Il tempo è ormai in scadenza»

Palazzotto, presidente dell’organismo parlamentare: «In assenza di risposte Roma non potrà sottrarsi dall’usare tutti gli strumenti diplomatici, politici e legali che ha per avere giustizia» 
Erasmo Palazzotto
Erasmo Palazzotto

«Restituire alla politica il compito di affermare una verità storica». Una verità per avvicinarsi alla quale la proroga dei lavori della Commissione «risponde a due esigenze: recuperare i mesi in cui l’attività della Commissione è stata sospesa causa pandemia; e finire una parte del lavoro che riguarda l’indagine in corso potendo acquisire tutto il lavoro fatto dalla Procura». Così Erasmo Palazzotto, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta su Giulio Regeni, commenta i prossimi passi da fare.

Commissione Regeni verso la proroga
Claudio e Paola Regeni mostrano la foto di un murale fatto da writers egiziani su un muro di Berlino che raffigura il volto di Giulio Regeni con un gatto stilizzato durante la conferenza stampa all'interno della sala Nassiria a Palazzo Madama 4 aprile 2017 a Roma ANSA/MASSIMO PERCOSSI


Palazzotto, fra gli obiettivi che la Commissione si è posta ci sono anche due missioni in Egitto e nel Regno Unito, fin qui non effettuate causa pandemia. Cosa vi aspettate dall’Egitto, da cui sinora non è giunta collaborazione, e cosa dal Regno Unito, dove ugualmente - anche se non sempre - sono stati opposti silenzi sulla vicenda?

Non ci attendiamo grandi risposte, ma è un atto dovuto. È un tentativo di esperire informazioni anche da parte di altri soggetti, in Egitto, ma soprattutto di provare a chiedere una collaborazione che da Cambridge non c’è stata. Non ci attendiamo che il nostro lavoro di inchiesta possa fare più di quanto è stato fatto dai pm e dal legale della famiglia Regeni: il nostro compito è stabilire una verità storica e una verità politica, quindi accertare le responsabilità ma anche il contesto in cui questa tragedia è avvenuta. Soprattutto, il lavoro della prima fase della Commissione è stato quello di accertare le responsabilità politiche rispetto a tutto quanto ha favorito o ostacolato la ricerca. Quella delle missioni peraltro resta una ipotesi: nelle condizioni attuali causa Covid è difficile si possano svolgere, soprattutto in Egitto.

Avete comunicato alla famiglia Regeni ciò che farete?

Sì, io ho comunicato tramite l’avvocato Alessandra Ballerini (il legale della famiglia, ndr) la volontà di prorogare i lavori, anche perché a prescindere dalle missioni abbiamo ancora un calendario di audizioni che non riusciremo a effettuare entro il 3 dicembre. La proroga è necessaria, anche se ci siamo dati come obiettivo quello di chiudere prima della nuova scadenza fissata: lo vogliamo fare il prima possibile, terminando il lavoro di audizione e dandoci il tempo per processare le informazioni e poter scrivere infine una relazione che ricostruisca l’accaduto. Fin dalla nascita del progetto di legge che presentai nel 2016, una delle principali preoccupazioni era quella di non sovrapporci né sostituirci ai giudici. I processi si fanno in tribunale ed è giusto che vi sia la magistratura, con cui noi fin dall’inizio abbiamo tenuto un rapporto di reciproca leale collaborazione.

Nell’ultima audizione il consigliere di ambasciata Stefano Catani ha detto che il richiamo dell’ambasciatore dal Cairo ebbe degli «effetti». Il governo d’altronde ha sempre detto di volere tenere aperto il dialogo con l’Egitto: questione di strategia geopolitica. Che ne pensa?

Io penso che la strategia tenuta fin qui dal governo puntava a ottenere una collaborazione da parte egiziana tramite il mantenimento di rapporti diplomatici. Sarà l’andamento della dinamica processuale a dirci se questa strategia ha portato frutti oppure no. Mi appare del tutto evidente che fino a qui non ha prodotto risultati: a oggi non siamo stati in grado di ottenere dalle autorità egiziane nemmeno l’elezione di domicilio degli indagati. Da questo punto di vista, se le indagini si concludono con l’attuale stato di cooperazione giudiziaria, mi pare evidente che si possa certificare che appunto non vi è stata cooperazione da parte dell’autorità giudiziaria egiziana, bensì addirittura un tentativo di ostacolare le indagini della magistratura italiana.

E dunque?

Sulla base di questo, anche chi sostiene che la via del dialogo possa produrre frutti ha un tempo limitato per dimostrare questa teoria. Entro dicembre scadono le indagini (i due anni dall’iscrizione nel registro degli indagati di cinque ufficiali egiziani da parte dei pm romani, ndr): se a quella data non arrivano risposte alla rogatoria credo che il governo italiano non possa sottrarsi alla propria responsabilità di utilizzare tutti gli strumenti diplomatici, politici e legali che ha per ottenere giustizia.

L’Egitto fin qui ha risposto picche. Lei che cosa si aspetta?

Posso augurarmi che qualche cosa cambi, ma di motivi per ritenere che questo accada non ne ho. Finora hanno avuto tutte le possibilità di farlo, ma non c’è stata alcuna dimostrazione di disponibilità. —


 

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