Caso Regeni, la Procura di Roma pronta a chiudere le indagini
ROMA Il tempo stringe. Sono in via di conclusione le indagini sul rapimento, sulle torture e sull'omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore originario di Fiumicello scomparso al Cairo il 25 gennaio del 2016 per essere ritrovato senza vita il 3 febbraio lungo la strada che collega la capitale egiziana ad Alessandria.Manca poco al termine dei due anni dal momento dell'iscrizione nel registro degli indagati (avvenuta il 4 dicembre del 2018), da parte del pm Sergio Colaiocco, dei cinque agenti della National Security egiziana. È una corsa a ostacoli lunga e complessa, quella percorsa fin qui, ma che sembra arrivata alla sua ultima curva. Anche se la verità su quanto avvenuto in Egitto appare ancora ben lontana.
I pm italiani vogliono comunque rispettare la scadenza: e questa volontà è stata nuovamente rappresentata ieri alle autorità egiziane da parte del team investigativo italiano di Ros e Sco che si è recato al Cairo per un nuovo, l'ennesimo, vertice tra inquirenti. Il tempo stringe e dal primo luglio scorso, giorno in cui il procuratore capo Michele Prestipino - assieme al pm Colaiocco - si è collegato in videoconferenza con i magistrati egiziani per fare il punto della situazione, non sono emerse novità di spicco. Gli investigatori italiani, che avevano chiesto risposte concrete in tempi brevi, non hanno ricevuto al momento alcun riscontro. Tutto è rimasto fermo alla rogatoria dell'aprile del 2019, quando agli egiziani (il procuratore generale Hamada Elsawy e il direttore della divisione cooperazione giudiziaria Mohamed Khalaf) sono state chieste in un documento articolato in 12 punti una serie di informazioni «sull'elezione di domicilio da parte degli indagati, sulla presenza e sulle dichiarazioni rese da uno degli indagati in Kenya nell'agosto del 2017, e su altre attività finalizzate a mettere a fuoco il ruolo di altri soggetti della National Security che risultano in stretti rapporti con gli attuali cinque sotto inchiesta».
Salvo quindi qualche clamoroso colpo di scena legato al vertice di ieri (al quale potrebbe seguire a breve, forse già la prossima settimana se la situazione legata alla pandemia lo consentisse, un altro incontro a Roma tra i rispettivi team investigativi), ai pm di piazzale Clodio non resterà che valutare l'intero materiale probatorio acquisito in questi anni per chiudere le indagini.
Al momento gli accertamenti sono di fatto fermi all'iscrizione di cinque ufficiali appartenenti al dipartimento di Sicurezza nazionale (servizi segreti civili) e all'ufficio dell'investigazione giudiziaria del Cairo (polizia investigativa), accusati di concorso in sequestro di persona, sulla base di quanto già raccolto da Ros e Sco. In particolare, si tratta del generale Sabir Tareq, dei colonnelli Usham Helmy e Ather Kamal, del maggiore Magdi Sharif e dell'agente Mahmoud Najem.
A parole le autorità egiziane hanno sempre garantito «la ferma volontà di arrivare a individuare i responsabili dei fatti». Parole a fronte delle quali Il Cairo ha sempre opposto nei fatti una giravolta di depistaggi e omissioni. Dichiarazioni di facciata per i genitori di Giulio, Claudio e Paola Regeni, che - ormai delusi e sfiduciati - chiedono da tempo con insistenza al governo italiano di richiamare in patria l'ambasciatore al Cairo. In ogni caso, ieri sera un comunicato della Procura generale egiziana ha reso noto, dando conto dell’incontro fra inquirenti, che «Il Consigliere del Procuratore generale egiziano» ha «affermato l'unità di intenti delle parti egiziana e italiana nonostante le differenze del sistema giuridico» perché «l'obiettivo delle autorità inquirenti di tutti i Paesi del mondo». Non solo: «Sua eccellenza ha affermato che la squadra inquirente egiziana presenterà tutte le informazioni di cui dispone alla sua omologa italiana, indicando che attende con impazienza un'offerta simile» da parte di Roma, aggiunge la nota egiziana parlando di «fiducia reciproca«» confermata. —
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