Caso Rasman, la famiglia chiede un risarcimento di otto milioni

I tre agenti condannati in via definitiva per omicidio colposo: ora i legali dei genitori del giovane li citeranno davanti al Tribunale civile. Punto nodale, la sofferenza subìta prima di morire
Foto Lasorte Trieste 31/10/06 - Riccardo Razman
Foto Lasorte Trieste 31/10/06 - Riccardo Razman

Di Claudio Ernè

Otto milioni di euro. È questa la somma che gli avvocati della famiglia di Riccardo Rasman, il giovane ucciso dalla polizia il 26 ottobre 2006 nel corso di un intervento in via Grego, si accingono a chiedere al ministero degli Interni e ai tre agenti condannati definitivamente a sei mesi di carcere per omicidio colposo.

Gli avvocati Giovanni Di Lullo e Claudio De Filippi hanno annunciato ieri che citeranno davanti al Tribunale civile di Trieste il capo pattuglia Mauro Miraz e i colleghi della “volante” Maurizio Mis e Giuseppe De Biase. Scopo dichiarato quello di ottenere un adeguato risarcimento per le sofferenze patite dal giovane negli ultimi strazianti minuti della sua vita e per i terribili riflessi che questa morte ha provocato sugli anziani genitori e sulla sorella.

«La vita di questa famiglia è stata completamente distrutta dal dolore» spiega l’avvocato Giovanni Di Lullo. «I genitori di Riccardo Rasman hanno chiesto giustizia e ora l’hanno ottenuta. La sentenza di condanna dei tre agenti è passata in giudicato dopo il giudizio della Corte di Cassazione. Nella prima fase dell’inchiesta, lo ricordo ancora, la Procura della Repubblica di Trieste intendeva chiedere l’archiviazione dell’indagine. Per anni abbiamo lottato per stabilire la verità».

Il punto nodale della causa civile che sta per avviarsi è rappresentato dal danno sofferto da Riccardo Rasman nel breve periodo in cui era riverso a terra con le mani e i piedi legati e con un paio di agenti che col loro peso la tenevano bloccato. In quel breve periodo la vittima respirava a fatica, rantolava. Lo aveva sentito una vicina di casa. Nella citazione è evidenziato che Rasman si rendeva conto di stare per morire soffocato. Sarebbe stato sufficiente che i poliziotti lo sollevassero e la sua vita sarebbe stata risparmiata.

A questo danno si affianca il danno biologico, esistenziale e morale che ancora oggi stanno patendo i genitori e la sorella. Ecco perché è così elevato il risarcimento richiesto al ministero degli Interni e ai tre agenti condannati per omicidio colposo. Va aggiunto che nei tre gradi di giudizio tutti i magistrati che si sono occupati di questa terribile vicenda hanno riconosciuto il pieno diritto e la piena legittimità dei poliziotti a fare irruzione nel monolocale di via Grego dal cui terrazzo Riccardo Rasman aveva gettato un petardo. L’errore tragico è stato quello di aver trattenuto troppo a lungo bloccato sul pavimento la vittima, esercitando sul torace una pressione che si è rivelata fatale. In sintesi Rasman non sarebbe morto se la pressione esercitata sul suo torace non si fosse protratta nel tempo.

«Il giovane aveva compiuto uno sforzo enorme, lottando coi poliziotti come un leone: dimostrava con l’affanno del respiro di essere in fortissimo debito di ossigeno: una qualunque persona, si legge nella sentenza e a maggiore ragione dei poliziotti, dovevano prevedere che tenere premuto il corpo a terra per diversi minuti, avrebbe significato compromettere la respirazione e la vita».

In altre inchieste non dissimili, ad esempio quella sulla morte di Federico Aldrovandi, il ragazzo deceduto a Ferrara dopo un prolungato controllo di polizia, il ministero degli Interni aveva risarcito i genitori della vittima. Lo aveva fatto versando loro due milioni di euro ancora prima che si aprisse il dibattimento. «Sono soddisfatto dal punto di vista professionale, si tratta di una ammissione di responsabilità», aveva affermato all’epoca uno dei legali della famiglia. Si era poi detto dispiaciuto dal punto di vista umano. «Avrei voluto essere in aula durante il processo. Però capisco la fatica della famiglia per gestire questa battaglia legale e morale».

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