«Caso caporalato a Monfalcone, crimini di famiglia»

I giudici confermano le accuse: il sodalizio per lo più imperniato intorno a parenti era ancora più pericoloso
Il Tribunale di Gorizia
Il Tribunale di Gorizia

MONFALCONE Le estorsioni, le minacce, le buste paga “assottigliate” dai tagli alle ore effettivamente lavorate. Tutto inquadrato in un «programma associativo criminale» ai danni dei lavoratori bengalesi, per «rimanere concorrenziali sul mercato». È quanto ha confermato il Collegio giudicante del Tribunale di Gorizia, composto dal presidente Francesca Clocchiatti e dai giudici a latere Nicola Russo e Gianfranco Rozze, che hanno depositato le motivazioni in relazione alla sentenza del processo sul caporalato nell’appalto di Fincantieri.

Al processo, oltre ad una decina di lavoratori bengalesi, si era costituita parte civile anche la Fiom Cgil. Il pronunciamento della sentenza era avvenuto il 4 giugno scorso. Una condanna complessiva di 20 anni e 6 mesi, a fronte di sette imputati, di cui sei ammessi dal Collegio giudicante al patteggiamento che era stato già richiesto dalle parti.

Ciò che nelle motivazioni alla sentenza viene riconosciuto è di fatto l’intero quadro accusatorio, tanto che il Collegio giudicante, nel dispositivo di una sessantina di pagine, argomenta subito: «Si evidenzia fin d’ora che l’istruttoria, complessa e articolata per la molteplicità delle imputazioni e delle posizioni processuali, la mole di documentazione prodotta e il numero delle persone sentite in dibattimento, ha sostanzialmente confermato l’ipotesi accusatoria».

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Una pattuglia dei carabinieri durante l’operazione anti-caporalato nei cantieri di Monfalcone

Un accoglimento, dunque, delle contestazioni formulate dalla Pubblica accusa, rappresentata dal Pm Laura Collini. Su tutto spicca un elemento: il sistema messo in campo, attraverso le società istituite e susseguitesi nel tempo, riconducibili ai Commentale, era un’«associazione a delinquere». Il Collegio giudicante dice di più: «In tema di associazione a delinquere - si legge nelle motivazioni -, la costituzione del sodalizio criminoso non è esclusa per il fatto che lo stesso sia imperniato per lo più intorno a componenti della famiglia, perchè, al contrario, sommandosi al vincolo associativo, lo rendono ancora più pericoloso».

Nè vale, secondo i giudici, l’argomentazione secondo la quale l’adozione della cosiddetta “paga globale” fosse, come sostenuto dalle difese, un sistema diffuso nell’ambito della cantieristica navale e che sia anche richiesto dagli stessi lavoratori bengalesi, i quali peraltro, osserva il Collegio giudicante, «non ricevevano nemmeno per intero la paga».

E ancora, viene evidenziato, «il meccanismo di paga adottato dalle società riconducibili ai Commentale ha comportato la corresponsione di contributi previdenziali inferiori al dovuto. Corretta appare, quindi, la ricostruzione effettuata dalla Polizia giudiziaria anche sotto il profilo amministrativo, circa i contributi evasi».

Conclusione: «Da quanto delineato, emerge con certezza - sostengono i giudici - la ricorrenza dei presupposti per affermare la sussistenza dell’associazione a delinquere». Un’associazione alla quale gli imputati hanno contribuito in modo funzionale. I giudici, infatti, argomentano: «Ogni associato ha dato il suo contributo causale al raggiungimento degli scopi dell’associazione, che ha potuto operare per un periodo di tempo significativo in maniera concorrenziale nel mercato delle lavorazioni navali». Le società riconducibili ai Commentale, dunque, per i giudici sono state «piegate a finalità quali la violazione di norme in materia di retribuzione dell’attività lavorativa e di illecito utilizzo degli sgravi contributivi e delle agevolazioni previste dalla legge».

Si conferma anche l’estorsione: «Se già l’esame delle buste paga conferma il trattamento lavorativo deteriore rispetto al trattamento previsto dalla contrattazione nazionale - affermano i giudici -, lo stesso trattamento deteriore veniva imposto mediante la minaccia esplicita, continua e costante di licenziamento». Si parla di un «clima generalmente e fortemente intimidatorio: si pensi - aggiunge il Collegio - alle “dimissioni in bianco” firmate all’atto dell’assunzione. Nel corso del dibattimento - annotano ancora i giudici - è emerso che minacce di licenziamento venivano rinnovate al momento della consegna della buste paga e una collettiva pressione veniva formulata nell’occasione con specifiche minacce di licenziamento che venivano via, via rinnovate a quei lavoratori che, di tanto in tanto, provavano a richiedere le somme dovute». I giudici, comunque, rilevano: «Per tale ipotesi delittuosa, ad ogni modo, possono essere concesse le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, in ragione della crisi economica che colpiva le società riconducibili ai Commentale».

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