Caso Alina, a Trieste chiesti 20 anni per sette agenti
TRIESTE Vent’anni e nove mesi di carcere. Il palazzo di giustizia ha presentato il conto alla polizia di Trieste con una raffica di richieste di condanna per sette agenti e funzionari dell’Ufficio immigrazione. Il caso è quello di Alina Bonar Daciuk, la trentaduenne ucraina che nell’aprile del 2012 si è suicidata con un cordino della felpa in una camera di sicurezza del commissariato di Opicina, e il filone investigativo aperto dalla Procura per far luce sulle decine e decine di stranieri in attesa di espulsione trattenuti irregolarmente nella struttura dell’altipiano analogamente ad Alina. Di fatto parcheggiati nelle guardine. Una prassi durata anni e venuta a galla con la tragica fine della donna. Sono 175 i nomi degli stranieri che compaiono nelle cento pagine del faldone: persone destinate al reimpatrio, che sarebbero state detenute illegalmente nelle celle del commissariato.
Il pubblico ministero Massimo De Bortoli, che ieri ha dato il via al processo in rito abbreviato, ritiene si sia trattato di sequestri di persona. Nella sua requisitoria davanti al giudice Giorgio Nicoli, agli imputati e ai loro legali, il magistrato ha domandato l’incarcerazione per sette dei nove poliziotti indagati, dirigenti compresi, due dei quali sono chiamati a rispondere di omicidio colposo per la morte della giovane. Su cui peraltro nessuno aveva vigilato nonostante le telecamere installate in commissariato.
Vent’anni e 9 mesi di detenzione in tutto, dunque, per gli agenti e i funzionari con incarichi di responsabilità nell’Ufficio immigrazione coinvolti nell’indagine. Gli avvocati ieri sono rimasti a bocca aperta. Anche perché, come emerso negli anni scorsi man mano che procedevano gli accertamenti, in passato le direttive sulla gestione degli immigrati irregolari sarebbero arrivate dalla stessa Procura.
Per l’ex responsabile dell'Ufficio stranieri della Questura, Carlo Baffi, il pm ha proposto 5 anni, 9 mesi e 10 giorni, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Per il suo vice Vincenzo Panasiti 5 anni, 3 mesi e 14 giorni e, analogamente al collega, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Un anno, 1 mese e 10 giorni per Alberto Strambaci; 2 anni e 6 mesi per Cristiano Resmini; 2 anni, 1 mese e 10 giorni per Alessandro De Antoni; 2 anni per Fabrizio Maniago.
Queste persone, per le quali si prospetta l’interdizione per tutta la durata della pena, sono imputate per concorso in sequestro di persona: perché i migranti, compresa Alina, non dovevano essere trattenuti nella caserma di Opicina. Norme alla mano, lo avevano ribadito anche i giudici del Tribunale del riesame nel confermare la legittimità delle perquisizioni disposte dal pm quando era scoppiata la vicenda giudiziaria: «Il cittadino straniero destinatario di un provvedimento di espulsione deve, in attesa del perfezionamento dell'iter amministrativo, essere condotto in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie, ndr).
Ogni altro posto ove il cittadino straniero venisse condotto sarebbe illegittimo».
Per le tre guardie del commissariato incaricate della sorveglianza di Alina, accusate di omicidio colposo per il decesso della trentaduenne, la posizione giudiziaria è diversa: per l’agente scelto Ivan Tikulin, a cui viene contestata anche l’omessa vigilanza, il pm ha domandato 1 anno, 5 mesi e 10 giorni. Per Roberto Savron, che sarà giudicato in rito ordinario, è stato disposto il rinvio a giudizio (e l’interdizione dai pubblici uffici per l’intera durata della pena). Per il collega Thomas Battorti, infine, è stato chiesto il proscioglimento: non aveva doveri di servizio nella circostanza che ha portato alla morte della donna.
Quattro stranieri sui 175 casi accertati si sono costituiti parte civile: attendono il risarcimento per detenzione abusiva. Ora la palla passa agli avvocati difensori.
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