Caserma di via Rossetti riaperta per un giorno nel ricordo del passato
Nel silenzio riecheggiano ancora le voci. «At-tenti». «Ri-poso». Dodici ettari e 197 mila metri cubi nella immediata periferia di Trieste dove una volta l’Esercito aveva uno dei suoi cuori pulsanti e dove entro cinque anni, si spera, potrebbero tornare dei giovanissimi, senza divisa.
Dal 2008 la caserma Vittorio Emanuele III non è più operativa ed è stata svuotata. Ieri però, è tornata in piccola parte ai fasti di un tempo: il cancello pedonale aperto, le Cravatte rosse che camminano tra i viali, le divise mimetiche che indicano la strada e poi l’inno di Mameli nel piazzale d’armi, in attesa che il progetto campus da 8 mila studenti di superiori e università possa finalmente decollare. Se ne parla dal 2005 quando esisteva ancora la Provincia di Trieste che si occupava della gestione delle scuole superiori, passata prima alle Uti e poi agli Edr.
Il comprensorio, ereditato dal demanio militare, è di proprietà di Cassa depositi e prestiti immobiliare Sgr, l’organismo dello Stato che ha il compito di valorizzare i beni pubblici in fase di dismissione. L’amministrazione municipale, che dovrebbe acquisirne il “titolo” per poter avviare i lavori e la conseguente locazione, conta – posto che in mezzo c’è l’appuntamento elettorale di oggi e domani – di chiudere la partita entro i prossimi cinque anni, a patto di trovare una destinazione accettabile per gli edifici che ospitano oggi le classi delle superiori destinate teoricamente al trasloco e che devono comunque essere ceduti. La fase successiva prevede poi i lavori di restauro, da fare prima dell’ingresso degli studenti, e l’apertura alla cittadinanza.
Quindici gli edifici: quattro gemelli edificati intorno al piazzale d’armi e poi il parlatorio, il corpo di guardia, l’edificio comando, i depositi degli automezzi e le officine, la palestra, il poligono, la torre dell’orologio con la chiesa e il cinema. I lavori per la costruzione del comprensorio, oggi sotto tutela del Ministero per i Beni e le Attività culturali, iniziarono sotto l’Austria nel 1912 e furono conclusi dagli italiani, dopo la Prima guerra mondiale, nel 1925 con inaugurazione e intitolazione alla presenza di Re Vittorio Emanuele III nel 1926, da quando divenne la “casa” della Sassari fino al 1975. «Mi ricordo una festa della befana negli anni ’70 – racconta Vincenzo Carluccio –, mio padre era sottufficiale di carriera proprio alla Sassari ed era arrivato qua a Trieste dopo aver fatto anche la campagna d’Africa. Era una caserma bellissima con grandi spazi, non a caso era un progetto degli austriaci».
Nel 1975 dopo lo scioglimento della “Sassari” venne costituito il primo battaglione Fanteria motorizzato “San Giusto”, erede della bandiera di guerra del primo reggimento fanteria “Re”. Enrico Gottardo era del quarto dell’82, terza compagnia meccanizzata: «Ho fatto qua addestramento e giuramento, i primi tre mesi della leva, poi sono finito a Banne. Non si stava male. Eravamo praticamente in città. Vengo da Padova e dopo 36 anni ancora oggi mi commuovo».
A fine anni ’80 inizia una prima riduzione dell’Esercito sul confine orientale a causa della fine della guerra fredda e della caduta del muro di Berlino. «Ero qua nel 1983 – racconta Pierpaolo Purelli – e oltre alla attività di caserma si faceva addestramento sul Carso. C’era una bella vita, eravamo tantissimi triestini e poi veneti, lombardi e persone dall’Emilia Romagna. Qua faceva la leva soprattutto gente della zona perché in caso di necessità potevano essere richiamati e conoscevano bene la realtà visto che si temeva una guerra».
Nel 1991 il “San Giusto” da unità operativa è diventato centro addestramento reclute fino al 2005 quando venne tolta la leva obbligatoria. Il maresciallo Giovanni Iavarone è uno degli ultimi ad aver lasciato il comprensorio: «Era il 2008 e tutto sommato le palazzine erano in buone condizioni. Un paio necessitavano già all’epoca di un intervento di restauro ma le ditte prima erano fallite e poi si è deciso di chiudere». Oggi la caserma si presenta bene, impossibile guardare dentro gli immobili, se non dalle finestre da cui si intravedono i classici scarabocchi sui muri e alcuni danni minori. Il tempo però passa, le tegole cadono, alcune si possono vedere a terra, e le telecamere non possono garantire la sicurezza totale. Ad essere messi male sono gli edifici con dentro le officine e le palestre, il resto mantiene ancora il fascino di una volta. —
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