Case popolari a Trieste: due secoli di storia dal primo Höfe all’Ater

Il prototipo dell’800 fu sviluppato in epoca fascista. L’immobile Incis all’incrocio tra viale Miramare e via Tor San Pietro risale al 1927: venne progettato da Nordio

Zeno Saracino
Il Vaticano e gli altri edifici nel fotoservizio di Andrea Lasorte
Il Vaticano e gli altri edifici nel fotoservizio di Andrea Lasorte

L’ingresso monumentale, sormontato da una doppia fila di balconi e illuminato da una grande lampada, sembra preannunciare il cortile di un palazzo ministeriale o di una fortezza. Tuttavia, dopo aver varcato la soglia, lo sguardo si perde nelle centinaia di piccole finestre che punteggiano le alte pareti della corte interna del gigantesco complesso di via dell’Istria e del Molino a vento detto “il Vaticano”.

 

Il comprensorio del Vaticano in via dell'Istria (Lasorte)
Il comprensorio del Vaticano in via dell'Istria (Lasorte)

Modello Vienna

Il richiamo alla fortezza non è un caso, perché il modello della grande corte centrale proviene dalla Vienna “rossa” degli anni Venti, quando vennero costruiti gli “Höfe”, le grandi case fortezza operaie. Avere una singola corte centrale consente di massimizzare lo spazio a disposizione, spesso moltiplicando il numero dei piani; gli operai non vengono confinati nella periferia, dentro case dormitorio, ma vengono alloggiati in quartieri cittadini.

L’Höfe viennese, del quale l’esempio maggiormente al limite è il titanico superblock del Karl Marx Hof, fu recuperato dalla Trieste fascista per l’edilizia popolare e tutt’oggi costituisce il modello predominante per le case Ater del centro cittadino.

La nuova vita del Quadrilatero di Melara: così l’ex ghetto di Trieste sta rialzando la testa
Il quadrilatero di Melara (Lasorte)

Una storia iniziata nell’Ottocento

La storia dell’edilizia popolare triestina risale però alla seconda metà dell’Ottocento quando una parte della borghesia triestina, preoccupata delle disastrate condizioni della classe lavoratrice, sovvenzionò i primi edifici pubblici, fondando la Società triestina costruttrice di edifici popolari. Fu poi il Parlamento di Vienna, con un’apposita legge del 1902 volta a incentivare l’edilizia sociale nelle città dell’Impero, a sollecitare Trieste alla fondazione dell’Istituto comunale per le abitazioni minime (Icam). Questi, nato come racconta Paola Di Biagi onde “riparare alla deficienza d’alloggi a buon mercato”, conobbe tante trasformazioni, specie nell’Istituto autonomo per le case popolari (Iacp) del 1924, approdando poi all’odierna Ater.

La scritta “Iacp” sull’edificio di via Giusti a Roiano (Lasorte)
La scritta “Iacp” sull’edificio di via Giusti a Roiano (Lasorte)

Il primo Höfe

Il primo Höfe costruito a Trieste risale al 1927-1930 ed è presente, fresco di facciata, all’intersezione tra viale Miramare e via Tor San Pietro. La grande scritta in latino che tutt’oggi decora la facciata recita “Incis”, in quanto erano residenze dell’Istituto nazionale case per gli impiegati dello Stato.

 

La scritta Incis sulla facciata di viale Miramare (Lasorte)
La scritta Incis sulla facciata di viale Miramare (Lasorte)

Vennero dapprima realizzati nove palazzi lungo viale Miramare, con un’unica cortina di pietra e arcate monumentali, e due anni più tardi altri sei edifici lungo via Tor San Pietro, “chiudendo” la corte. La posizione a breve distanza dalla stazione ferroviaria di Trieste svela la destinazione d’uso, perché come racconta Il Piccolo nel 1930 gli edifici servivano

a dare agli impiegati statali maggiormente bisognosi di alloggio delle case comode e sane a mite affitto

Le firme di Nordio e Jona

Trieste, sotto amministrazione italiana, non doveva solo far fronte alle masse impoverite e ai traslochi conseguenza dell’opera di demolizioni del “piccone risanatore”, ma doveva anche fornire alloggi all’ingente flusso di funzionari e specialisti giunti dall’Italia.

Le ex case Incis in viale Miramare (Lasorte)
Le ex case Incis in viale Miramare (Lasorte)

Umberto Nordio, posto di fronte alla sfida, replicò progettando facciate per gli edifici di viale Miramare ricche di chiaroscuri, di pieni e di vuoti, dove spiccano gli attici affollati di finestre.

Fu invece Camillo Jona a sobbarcarsi il secondo grande edificio a corte, poi noto come il Vaticano. Progettato per gli sfollati di Città vecchia, l’imponente complesso a causa dei ritardi nelle demolizioni fu invece destinato a operai specializzati e dipendenti pubblici, attenuando le gravi conseguenze della revoca nel 1930 del blocco degli affitti in corso ancora dalla Grande guerra.

L’assenza di ascensori

Oggigiorno gli edifici a corte, proprietà dell’Ater, soffrono l’assenza di appositi ascensori: la popolazione è sempre più anziana ed edifici multipiano, serviti solo da scalini consumati da un secolo di utilizzo, sono sempre meno appetibili. All’interno di tanti edifici a corte – un caso esemplare è piazza Foraggi – vi si ritrovano spesso numeri civici ristrutturati, con un ascensore esterno apposito, e poco lontano altre sezioni ferme a un secolo prima, frammiste a situazioni precarie legate a un generale abbandono (cassette della posta sfondate, sacchi della spazzatura gettati nell’atrio e così via).

Se nell’edilizia privata l’equivalente dell’Höfe è il grattacielo, la villetta trova un suo (povero) corrispettivo anche nel pubblico con il concetto della “casa-giardino”.

 

Scala Bonghi in una foto di archivio
Scala Bonghi in una foto di archivio

Il Quartiere-giardino

A seguito del passaggio di Trieste all’Italia il Consiglio comunale legiferò che “per solennizzare la liberazione dal dominio austriaco e l’annessione all’Italia fosse immediatamente costruito un Quartiere-giardino”. Non a caso lo si proponeva come il “Quartiere della Vittoria”. La nuova area sarebbe stata composta di casette a un piano con un piccolo orto o giardino, destinate ai colletti bianchi e alla classe operaia. Oggigiorno vengono di solito conosciuti come il “Rione del re” e “Rozzol in monte” e corrispondono a una vasta area costruita tra il 1926 e 1928 tra Chiadino, Rozzol e Montebello.

La sagoma corrosa dal tempo di un leone accoglie il visitatore che, salendo dalla scalinata di Ruggero Bonghi, attraversa questo quartiere caratterizzato da oltre 240 alloggi a schiera, posizionati alla pari di tanti terrazzamenti sul colle. La scelta di costruire un quartiere giardino ottemperava ai dettami sanitari volti a enfatizzare la vita all’aria aperta, l’attività fisica e in generale i luoghi di campagna contrapposti ai focolai della tubercolosi attribuiti a Città vecchia. Lodovico Braidotti realizzò infatti case unifamiliari caratterizzate da un’architettura rurale, limitandosi a porre grande attenzione alla vicina viabilità, con una via tranviaria attrezzata ad hoc.

Il periodo del Gma

Fu solo nel secondo dopoguerra, durante il periodo del Governo Militare Alleato, che la “casa-giardino” e l’Höfe trovarono una propria sintesi: le autorità anglo-americane realizzarono infatti per la prima volta a Gretta, sopra Barcola, e nelle zone bombardate dei Campi Elisi interi quartieri popolari. Gli edifici si presentano nudi, svestono ogni decorazione storicistica; si tratta di grandi blocchi multipiano paralleli l’uno all’altro, onde garantire in maniera equanime la luminosità degli appartamenti. La corte diventa invece il giardino che, di volta in volta, connette i diversi edifici.

Quest’abbozzo di quartiere iniziò, col secondo passaggio di Trieste all’Italia, ad assumere i contorni di un quartiere autosufficiente: Borgo San Sergio e Chiadino presentano entrambi un chiaro centro comunitario attorno a cui si sviluppano le case, assecondando l’andamento naturale del terreno e concedendo, specie nel secondo caso, scorci verso la campagna. —

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