Case, box, terreni agricoli: sono 55 i beni strappati alla criminalità in regione

TRIESTE Sono 55 i beni confiscati alla criminalità organizzata in Friuli Venezia Giulia, di cui 19 a Pordenone, 17 a Trieste e altrettanti a Udine, due (di cui un’azienda) a Gorizia. I dati emergono dall’ultimo report dell’associazione Libera contro le mafie, datato 28 gennaio 2019.
Il Fvg – altro dettaglio – è peraltro una delle tre regioni d’Italia, assieme a Valle D’Aosta e Molise, in cui non sono presenti esperienze di riutilizzo degli stessi beni confiscati da parte di realtà del terzo settore (come associazioni senza fini di lucro che operano nel sociale o in attività di solidarietà, per esempio), una possibilità che è stata sancita dalla legge 109 del 1996, nata da una raccolta di firme promossa proprio da Libera.
Il quadro emerge dal “Focus beni confiscati nel Triveneto”, redatto a fine gennaio dalla realtà presieduta da don Luigi Ciotti. In questi mesi, a quasi 23 anni dall’approvazione di quella piccola rivoluzione, Libera sta portando avanti da Nord a Sud un monitoraggio delle pratiche di riutilizzo sociale, per «conoscere meglio il territorio e le storie che lo animano».
Ma quanti sono e dove si trovano attualmente i beni confiscati alla criminalità in Fvg? La regione, come il resto del Nordest, si caratterizza per essere una zona dove si registra il fenomeno del riciclaggio e in cui vengono riscontrati anche forti legami con le mafie transnazionali. Secondo il portale Open Re.G.I.O gestito dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in Fvg esistono in totale 35 immobili in gestione (cioè strappati alla malavita e in attesa di essere affidati a enti pubblici o, da questi, ad associazioni) e 19 già destinati ai rispettivi soggetti pubblici o privati per un nuovo utilizzo (i numeri dei beni confiscati si riferiscono alle particelle catastali e non alle unità patrimoniali complesse). Tra gli immobili in gestione risultano esserci una villa, due abitazioni indipendenti, nove appartamenti in condominio, due box o garage, un magazzino, 17 terreni agricoli, un terreno con fabbricato rurale. Tra gli immobili destinati invece ci sono un’abitazione indipendente, sei appartamenti in condominio, otto box o garage.
I beni confiscati totali nella provincia di Trieste sono 17 (di cui 12 destinati), a Udine 17 (di cui 7 destinati), 2 a Gorizia (di cui un’azienda non destinata) e 19 a Pordenone (tutti ancora in gestione). Dai dati più recenti emerge che nel 2018, in Friuli Venezia Giulia, sono stati destinati quattro beni immobili agli enti locali. Infine, dal dossier di Libera, emergono 11 procedure in corso che potrebbero portare all’attuazione di misure patrimoniali.
È invece difficile ad oggi, anche per gli esperti del settore, avere uno sguardo d’insieme sui dettagli che si celano dietro a ogni storia criminale e a ogni confisca. Tuttavia, sono diversi i casi riferiti a beni, mobili e immobili, emersi dalla cronaca: dal caso di usura e riciclaggio del novembre scorso che ha portato alla confisca di 900 mila euro a Trieste, fino alle relazioni della Procura che negli ultimi anni hanno intercettato beni di Cosa Nostra, in mano agli eredi di Francesco Pecora, siti a Pordenone (come la Edilizia Friulana Nord Srl), o le proprietà di Graziano Domenico a Udine (la Nord Costruzioni Srl). O ancora, il bene di Villa Tartagna, affidato poi all’amministrazione comunale di Tricesimo.
Davide Pati, membro della segreteria nazionale di Libera, da anni segue con attenzione l’andamento dei beni confiscati sul territorio nazionale. «Non c’è una regione in Italia – afferma Pati – in cui non ci sono beni confiscati, grazie al lavoro della magistratura, delle autorità investigative e delle forze di polizia. Questo quadro mostra la capacità della criminalità di riciclare e di investire i proventi dei traffici illeciti in beni mobili e immobili». Ed è proprio l’azione determinata sul piano economico, unita all’impegno civile e culturale della società, che può indebolire le forze criminali. «Sicuramente – continua Pati – bisogna lavorare sulla restituzione alla collettività dei beni confiscati nel Fvg. Significa che bisogna sensibilizzare le amministrazioni comunali nel procedimento di assegnazione di questi beni per le finalità pubbliche e sociali previste dall’attuale codice antimafia e anche continuare un’azione di informazione alle realtà sociali perché possano presentare dei progetti di riutilizzo che rispondano anche ad esigenze di accoglienza per le persone più fragili, di promozione sociale, nonché per dare la possibilità a chi ha difficoltà a trovare un’abitazione».
La riassegnazione a fini sociali dei beni ha radici lontane. Nel settembre del 1982, a qualche mese dall’uccisione per mano mafiosa del politico Pio La Torre e a pochi giorni dall’attentato di via Carini in cui persero la vita il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro, venne promulgata la legge Rognoni-La Torre. Una svolta nella lotta alla mafia che introdusse nel codice penale italiano il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, ma anche le misure di prevenzione patrimoniale come il sequestro e la confisca dei beni.
Nel 1994 Libera promosse una petizione popolare, “La mafia restituisce il maltolto”, con un movimento dal basso che raccolse più di un milione di firme e che due anni dopo diede vita alla legge 109/96 per favorire l’utilizzo sociale dei beni confiscati. Sulla stessa onda, nacquero poi i campi di volontariato nei beni confiscati alle mafie e poi restituiti alle associazioni: esperienze estive organizzate di impegno civile e di formazione dedicate alla sensibilizzazione dei giovani. «Vogliamo che lo Stato sequestri e confischi tutti i beni di provenienza illecita, quelli dei mafiosi e dei corrotti – era scritto nell’appello popolare dei primi anni Novanta –. Vogliamo che i beni confiscati siano rapidamente conferiti attraverso Stato e Comuni alla collettività per creare lavoro, scuole, servizi, sicurezza e lotta al disagio». —
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