Casa Milcovich, dodici disabili in strada
di Claudio Erné
«Siamo pronti ad attuare uno sciopero della fame se la casa in cui viviamo e veniamo accuditi curati sarà venduta. Non possiamo finire in mezzo a una strada: siamo una famiglia, ci vogliamo bene e non vogliamo essere dispersi».
È questo l’accorato e disperato appello che viene dai dodici portatori di handicap grave o gravissimo che vivono da anni in via di Opicina in quella che è conosciuta come “Casa Milcovich”. Gran parte di queste dodici persone per muoversi deve usare la carrozzina; alcuni devono essere lavati e vestiti dal personale, qualcuno persino imboccato. Ma il 31 dicembre la casa cesserà ogni attività assistenziale: sarà venduta dal momento che il Consiglio direttivo della Sezione di Trieste dell’Uildm-Unione italiana lotta alla distrofia muscolare, l’ha messa sul mercato a 680 mila euro per ripianare i debiti accumulatesi negli ultimi.
«Non garantiamo l’ospitalità per gli ammalati oltre il 31 dicembre 2011» ha scritto il presidente della Sezione triestina, Cesare de Simone nelle lettere inviate ai familiari dei dodici cittadini ospitati a Opicina nella casa famiglia. Ieri a una richiesta di informazioni sul futuro di questi dodici ammalati e sulla sorte a cui è destinata lo stabile che ospita la casa famiglia, il presidente de Simone ha risposto infastidito. «Non ho nulla da dire; è un argomento su cui oggi ci sono alcune nuvole».
Difficile dire cosa volesse dire il presidente usando la metafora della “nuvole”; certo è che non ha gradito la domanda. Più aperto e disponibile in vice presidente Livio Bonetti «Sono l’unico dei nove componenti il Consiglio direttivo della Sezione di Trieste ad aver votato contro la cessazione dell’attività assistenziale e alla vendita dell’immobile, costruito peraltro su un terreno ricevuto in dono dal Comune nei primissimi Anni Settanta».
Oltre a mettere in mezzo a una strada i dodici ammalati di distrofia muscolare, la vendita dello stabile di Opicina che ospita la casa famiglia, rischia di far perdere il posto di lavoro a una decina di dipendenti della cooperativa “La Rinascente” a cui sono affidate gran parte delle mansioni assistenziali. Da mesi, a causa della crisi di liquidità collegata ai debiti che attanagliano la Sezione triestina dell’Uildm, gli stipendi dei dipendenti della cooperativa impegnati nella casa famiglia, a vengono pagati con enormi ritardi. Dal momento che il rapporto tra cooperativa e casa famiglia è inserito in una convenzione sottoscritta col Comune di Trieste che si fa carico di buona parte delle ingenti spese di assistenza e mantenimento degli ammalati, la vicenda di Opicina, è approdata in Municipio.
L’assessore all’assistenza Laura Famulari è informata della precaria situazione venutasi a creare e ieri ha ribadito di essere stata in visita nella casa famiglia e di aver parlato con gli ospiti. «Sto attivando tutte le risorse e vagliando ogni possibilità. Posso dire che le dodici persone non saranno lasciate sole il prossimo 31 dicembre e non saranno divise le une dalle altre nel caso dovessero essere accolte in una diversa struttura. Anche la grande maggioranza dei dipendenti della cooperativa può stare tranquilla. Almeno sei posti di lavoro saranno salvati».
Certo è che il problema della minacciata vendita dell’immobile di via di Basovizza 29/b è già all’esame di alcuni studi legali, pronti a tutelare i loro clienti. Il terreno è stato donato all’associazione dal Comune; la Regione ha investito nello stabile per renderlo adatto alla sicurezza degli ospiti in base alla dettato della legge 44/87, ingentissime somme di denaro ma si è anche tutelata rendendo impossibile per cinque anni ogni cessione; inoltre la destinazione d’uso non può derogare da quella attuale di comunità alloggio per disabili.
Ecco perché nel caso la dismissione di questa struttura dovesse proseguire, un paio di avvocati sono già pronti a chiedere l’intervento della Procura della Repubblica per verificare eventuali violazioni di legge. Poi agli ospiti resta l’ultima arma, quella che nessuno vorrebbe vedere usare: lo sciopero della fame attuato da dodici disabili gravi e gravissimi.
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