Casa hard in via Manna a Trieste, processo al gestore
Le prostitute, che lui definiva le “bambine”, lo chiamavano il “nonno”, per via della sua età, non certo verde. Il suo nome è Alessandro Pedrotti, triestino, 67 anni. Nello scorso dicembre era stato estradato da Sofia, in Bulgaria, dove era fuggito qualche mese prima, perché ritenuto il gestore di una casa di appuntamenti in via Ruggero Manna 9. Un luogo, così era emerso dalle indagini, molto frequentato.
Le indagini. Infatti, secondo gli accertamenti della Squadra mobile, disposti dal pm Pietro Montrone, il magistrato titolare delle indagini, il “nonno” aveva “ospitato” nel suo appartamento un buon numero di prostitute, che faceva arrivare direttamente dall’estero. Poi, ad ogni prestazione, prendeva il corrispettivo di 50 euro. Pedrotti sarà processato con rito abbreviato venerdì davanti al gup Laura Barresi. Accusa: sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. È difeso dall’avvocato Laura Pastorelli.
In tribunale. Con lui a processo sarà anche Angel Angelov, 35 anni, bulgaro. È ritenuto il socio di Pedrotti. Il suo ruolo - stando alle indagini - era stato quello di indicare dove il gestore della casa di via Manna poteva trovare qualche ragazza da far lavorare. Ecco cosa ha detto alla polizia di Pedrotti una prostituta che spesso aveva “esercitato” in via Manna: «Ogni volta che siamo in Italia ci fermiamo a Trieste e siamo ospiti di un uomo che chiamo il “nonno”. Me lo aveva indicato un’amica che adesso è tornata in Bulgaria. Con Alessandro Pedrotti c’era un tacito accordo, ovvero che io dormivo con lui e non pagavo l’affitto della camera».
Le prove. Ma a incastrare il “nonno” erano state le intercettazioni telefoniche. Quelle delle conversazioni dei clienti che contattavano le prostitute. A vendere il proprio corpo non solo donne, ma anche uomini. I quali - questo è emerso dalle indagini - si incontravano con clienti di entrambi i sessi. Poi, in Bulgaria, dove Pedrotti si era rifugiato, è scattato come si è detto l’arresto. Il “nonno” era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare del gip Guido Patriarchi. E così era finito in carcere a Roma, a Regina Coeli.
Ma nel frattempo gli accertamenti sono andati avanti. E così è emerso che per quasi un anno, in quell’insospettabile edificio di via Manna, era andato in scena un giro di prostituzione che aveva coinvolto decine di ragazze, soprattutto bulgare. Un giro al richiamo del quale, a quanto pare, si erano mostrati insensibili numerosi clienti, diversi dei quali, verosimilmente, triestini.
L’appartamento - o meglio l’attività esercitata al suo interno - aveva attirato clienti provenienti anche dalle province di Udine e Gorizia con un incasso stimato di oltre 15mila euro solo nell’arco dell'ultimo mese e mezzo. Un fatto, questo, che aveva confermato una vecchia leggenda. Che Trieste è diventata, cioè, una sorta di “Eldorado” della prostituzione anche a livello regionale: questo era risultato dalla provenienza geografica delle telefonate giunte alle squillo che venivano intercettate dagli investigatori.
Certo è che di fronte alla domanda era cresciuta, sia quantitativamente che qualitativamente, anche l’offerta. E c’era stato appunto chi, come hanno accertato gli investigatori, in via Manna si era per così dire “specializzato”, proponendo incontri particolari. Sesso insomma diversificato, per tutti i gusti. Anche quelli di insospettabili padri di famiglia che, nel corso delle indagini, sono stati discretamente convocati in Questura. Non avevano avuto molte difficoltà a raccontare “purché non se ne parli, purché non si sappia”. Perché di fatto, in questa indagine a tutto campo, i clienti rappresentano il cosiddetto anello debole.
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