Casa a fuoco in via Crispi Assoluzione piena per la famiglia indagata

Fine di un incubo per la famiglia coinvolta l’anno scorso nel vasto incendio al quarto piano del palazzo di via Crispi 33, finita sotto inchiesta giudiziaria da parte della Procura di Trieste. Il gup Luigi Dainotti ha assolto infatti in udienza preliminare gli inquilini dell’alloggio nel quale si erano innescate le fiamme, ritenuti dall’accusa responsabili dell’incidente e oggetto appunto di una richiesta di rinvio a giudizio: i due coniugi, proprietari dell’appartamento, e una delle loro figlie. Secondo il giudice non hanno commesso il fatto.
I tre componenti della famiglia, imputati nel procedimento, in questi mesi sono stati difesi dagli avvocati Giacomo Andriolo del Foro di Trieste e da Davide Zignani del Foro di Udine.
Ma durante l’udienza preliminare in Tribunale la domanda di assoluzione è stata avanzata dallo stesso pubblico ministero titolare del fascicolo, l’attuale procuratore facente funzioni Federico Frezza.
Il pm in prima battuta aveva ipotizzato a carico della famiglia incriminata il reato di «cooperazione in delitti colposi di danno», previsto dall’articolo 449 del Codice penale per «chiunque cagiona per colpa un incendio o un altro disastro». Cosa potevano dunque aver fatto gli inquilini indagati? Dai primi accertamenti sulle cause del rogo, partito dal soggiorno, si era subito pensato a un corto circuito. Un incidente domestico, insomma. Nel salotto, in particolare, durante le verifiche tecniche i pompieri avevano rinvenuto un televisore, due computer (di cui uno con monitor e l’altro portatile) e un ferro da stiro con caldaia. Le fiamme insomma potevano aver avuto origine da lì. Il pc inoltre, così era stato contestato, poteva essere rimasto attaccato alla presa dopo l’utilizzo.
In mancanza di «utilizzatori a fiamme libere», si leggeva nelle carte giudiziarie, «l’innesco (dello stesso incendio, ndr) è stato presumibilmente generato da malfunzionamento elettrico». Le fiamme avevano rapidamente intaccato il resto dell’abitazione, devastandola. Nessuno, fortunatamente, si era fatto male. Niente feriti né intossicati.
Ma l’incendio, va ricordato, non aveva danneggiato gravemente soltanto l’appartamento del quarto piano, ma anche altri alloggi che si trovano nello stesso edificio. Danni dovuti sia alle fiamme sia alla lunga e complicata attività di spegnimento.
Erano stati colpiti gli alloggi al quinto piano, al quarto, al terzo (dove un appartamento era stato da poco ristrutturato in attesa dell’arrivo di un nuovo inquilino), al secondo e al primo. In qualche caso un’intera stanza, in qualche altro solo la porta di ingresso.
Tutti i residenti del palazzo erano stati comunque evacuati rapidamente. Ma nessuno, quel giorno, aveva potuto far rientro nella propria abitazione.
I Vigili del fuoco del Comando provinciale di Trieste erano intervenuti nel giro di pochi minuti con autoscala e autobotte. Ma, per domare completamente le fiamme ed escludere il pericolo di altri possibili focolai, erano state necessarie ben tre ore di lavoro. Dopo l’incendio, la conta dei danni e le perizie tecniche indispensabili per rintracciare con precisione l’innesco del rogo: la magistratura aveva aperto un fascicolo di indagine penale ritenendo che gli inquilini del quarto piano potessero aver avuto un ruolo nell’accaduto. Ora, per loro, il sospiro di sollievo.—
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