Carlo Ratti: così nasce la città intelligente. I robot in fabbrica? Giusto paghino le tasse
TRIESTE Carlo Ratti, ingegnere e architetto, insegna al Massachusetts Institute of Technology di Boston dove dirige il Seseable City Lab. Ha fondato lo studio internazionale di progettazione Carlo Ratti e Associati con sedi a Torino e New York. É considerato un protagonista del dibattito internazionale sull’influenza delle nuove tecnologie in campo urbano. Ratti, che è stato incluso dalla rivista Wired fra «le 50 persone che cambieranno il mondo», sarà il protagonista dell’appuntamento «Allianz-Incontra» stasera a Trieste alle 18.10 nel palazzo della compagnia presieduta da Claudia Parzani e guidata dal Ceo Giacomo Campora in Largo Ugo Irneri.
Carlo Ratti, come le tecnologie digitali e i robot cambieranno il modo di fare industria?
Di certo gli sviluppi tecnologici consentiranno una maggiore efficienza della produzione industriale. Dal punto di vista dell'occupazione, il quadro è invece un poco in chiaroscuro. Secondo un rapporto dell’Università di Oxford, il 50 per cento dei lavori che conosciamo oggi potrebbe scomparire nei prossimi decenni, proprio a causa dei processi di automazione. Dobbiamo imparare come gestire le innovazioni tecnologiche senza esserne sopraffatti. Aiutando quanti perderanno il lavoro a trovarne rapidamente un altro e educando le nuove generazioni ad essere pronte per le professioni del domani.
Come?
Una soluzione potrebbe essere paradossalmente quella di far pagare ai robot le tasse imponendo una tassa sul capitale tecnologico e trasferendo i profitti a quanti sono rimasti disoccupati. Una proposta, questa, che purtroppo il Parlamento Europeo ha rifiutato qualche mese fa. Se fossimo in grado di gestire le questioni legate a transizione e ridistribuzione, credo il futuro sarà ricco di opportunità. Come il grande storico americano Lewis Mumford scriveva negli anni Trenta del secolo scorso: «Il principale beneficio che può derivare da un uso razionale delle macchine non è certamente l’eliminazione del lavoro», quanto piuttosto la sostituzione di lavori ripetitivi con altri più creativi e a maggior valore aggiunto.
Come cambierà di conseguenza il paesaggio industriale? Le vecchie fabbriche diventeranno rovine archeologiche?
Non necessariamente: penso invece che gli spazi industriali inutilizzati potranno trovare una nuova funzione, venendo reimpiegati per una vasta gamma di attività sociali e lavorative. La sfida è come passare dalla seconda rivoluzione industriale - quella del metodo fordista - all’industria 4.0, che integra le tecnologie digitali nello spazio fisico.
Veniamo al digitale e alle sue applicazioni industriali. Quale impatto avranno nella gestione delle città? Mi riferisco in particolare alle proposte del Mit Senseable City Lab, da lei diretto, sulla mobilità urbana.
Al nostro laboratorio studiamo da anni i modi in cui cambierà la mobilità urbana a partire dalle automobili che si guidano da sole. Un’automobile a guida autonoma, dopo averci portato al lavoro la mattina, invece che restare parcheggiata potrebbe rimettersi di nuovo in strada, per raggiungere a dare un passaggio a scuola a nostro figlio, o a un amico, o a chiunque altro nel quartiere. Insomma vedremo probabilmente emergere nuovi modelli di mobilità sempre più personalizzata, "on demand”, a cavallo tra trasporto pubblico e trasporto privato.
Dove stanno oggi i luoghi dell’innovazione?
Nel ventunesimo secolo la concorrenza alla Silicon Valley è diventata sempre più agguerrita. Ci sono Silicon Alley a New York, Silicon Wadi a Tel Aviv, Silicon Sentier a Parigi e Tech City, il polo di innovazione londinese. In un mondo globalizzato, i flussi di capitale hanno accelerato e ampliato la loro portata. Gli innovatori di tutto il mondo sono in grado di raccogliere il sostegno da parte di venture capitalist tradizionali o di piattaforme di finanziamento come Kickstarter. Le idee si spostano anche più velocemente sospinte, sostenute e rafforzate da Internet. Credo che anche l’Italia abbia la possibilità di entrare a far parte di queste dinamiche.
Il suo lavoro è stato pionieristico nel campo dello studio delle città intelligenti. Quale modello pensa si possa applicare a Trieste, città della scienza, e quale il suo potenziale di crescita?
Non credo ci sia un modello ad hoc per tutte le città: ognuna sviluppa il proprio a seconda delle diverse esigenze. Credo per Trieste e per le sue istituzioni più prestigiose sia importante puntare su tutte quelle risorse che consentono alla città di esprimere la sua vocazione come un polo cosmopolita, aperto al mondo. Cosa che è da sempre nel suo Dna multiculturale.
Lei ha scritto che «gli oggetti possono rispondere alle nostre esigenze». Che cosa significa Internet delle cose? E come può migliorare la nostra vita?
Il progressivo ingresso delle tecnologie digitali e del cosiddetto Internet delle Cose (ovvero l’ingresso di Internet e delle reti nello spazio fisico) nelle nostre vite e nelle nostre città, ci permette di trovare soluzioni nuove per vecchi problemi - dalla mobilità al consumo energetico, dall’inquinamento allo smaltimento dei rifiuti, dalla pianificazione urbana alla partecipazione dei cittadini. Se l'architettura è una sorta di terza pelle – dopo quella biologica e gli abiti che indossiamo – per molto tempo si è trattato in realtà di un rivestimento rigido, quasi un corsetto. Ci piace lavorare per far sì che un domani, grazie alle tecnologie digitali nello spazio, l'ambiente costruito possa adattarsi meglio alle nostre abitudini, dando vita a un'architettura dinamica, modellata sulla vita che si svolge al suo interno, e non viceversa.
Come stanno cambiando i servizi finanziari nell'era digitale e quale tipo di cambiamento secondo lei stanno vivendo le grandi compagnie assicurative come le "triestine" Allianz e Generali.
Il mondo dei dati cambierà il concetto di assicurazione. Oggi paghiamo la Rc auto sulla base di classi di rischio. Domani muterà radicalmente il concetto di condivisione del rischio, che è alla base di tutte le assicurazioni. —
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