Carli legato al collo con fascette di plastica
Immobilizzati anche i polsi. L’autopsia chiama in causa l’ipotesi dello strangolamento. Sul cadavere i segni del pestaggio

Lasorte Trieste 20/12/17 - Opicina, Via del Refosco 15/1, Rapina, 70enne Morto
TRIESTE. Non era corda e nemmeno nastro adesivo. Erano fascette di plastica, le stesse che utilizzano gli elettricisti. Gli assassini che hanno ucciso il settantacinquenne Aldo Carli hanno usato quelle per immobilizzare l’uomo. Gli hanno stretto i polsi e il collo. Poi lo hanno picchiato. L’ex gioielliere, trovato senza vita sul retro della villa di via del Refosco, a Opicina, nelle prime ore del mattino di mercoledì 20 dicembre, è morto in seguito a un’aggressione brutale.
Ma ci vorrà ancora qualche giorno, forse una decina, per capire con esattezza se la causa del decesso sia effettivamente dovuta alle fascette che hanno bloccato il respiro del settantacinquenne, fino a strangolarlo, o alle percosse. O, ancora, a un malore mentre era nelle mani dei criminali. L’autopsia, disposta dal pm Federico Frezza, ha bisogno di altri approfondimenti. L’esito non è affatto scontato.
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Carli , dunque, è stato legato e pestato, questo è certo: i segni sul cadavere, al collo e ai polsi, sono visibili. Come peraltro quelli del pestaggio: lo dimostra anche il dente rinvenuto sul pavimento di una stanza del piano terra. È lì che il settantacinquenne è stato imprigionato insieme alla madre novantaquattrenne che i criminali hanno tentato di soffocare con un cuscino. Tutto è successo senza che la moglie di Carli, la sessantaduenne Zdenka Poh che dormiva al piano sopra, si accorgesse di alcunché. Né lei, né il cane.
Appurare se il decesso è avvenuto per strangolamento, soffocamento o per altre ragioni, non è banale per gli inquirenti. Significa formulare un preciso capo di imputazione.
La Squadra mobile e la polizia scientifica di Trieste e di Padova hanno comunque raccolto numerosi elementi sul luogo del delitto. Hanno trovato anche resti di fascette di plastica compatibili con quelle impiegate sulla vittima. Nell’irruzione all’interno della villa di Opicina avrebbero agito comunque più persone, anche perché Aldo era dotato di una fisicità piuttosto imponente. Ma nessuno ha ancora capito perché il cadavere sia stato trascinato all’esterno del giardino.
La polizia ora avrebbe imboccato una pista investigativa più precisa. E per verificare chi era presente quella mattina attorno alla villa in un arco temporale riconducibile al decesso, gli agenti hanno avviato anche un controllo sulle celle telefoniche. Anche perché nei giorni antecedenti al delitto sarebbero stati notati, in zona, degli estranei. Più volte e sempre gli stessi.
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Più difficile, invece, disporre delle immagini di videosorveglianza: da quelle parti, in strada, mancano telecamere adeguate. Le uniche esistenti sono agganciate ai citofoni delle abitazioni.
La famiglia Carli, nel frattempo, conferma che la vittima non aveva nemici. Non aveva debiti o crediti con qualcuno. Non aveva problemi di gioco. Nulla di oscuro collegato al suo passato di gioielliere che possa far pensare a una vendetta, a un regolamento di conti o a un’estorsione. «Aldo era un bonaccione, una persona assolutamente tranquilla», conferma uno del posto che conosceva il settantacinquenne.
Ma chi ha fatto irruzione nella villa di Opicina cercava qualcosa. Anche se dall’abitazione sembra non sia sparito nulla, nonostante sia stato messo tutto a soqquadro. In casa non c’erano oggetti di particolare valore. Non c’erano somme significative. Non c’era una cassaforte. Cosa volevano i criminali da Aldo?
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