«Carciotti, una basilica di vetro per la città»

Il progettista Cervesi pone l’accento sulla struttura della grande sala quasi a cielo aperto
«Il cielo in una stanza» non è solo un celebre brano di Gino Paoli ma è quello che l’ingegner Francesco Cervesi considera l’idea più felice del suo progetto per palazzo Carciotti come sede congressuale (realizzato gratuitamente come regalo alla città e presentato in Comune l’altro giorno), e cioé le due «ali» di pavimento vetrato a destra e a sinistra del «parterre» inclinato sul fondo della sala grande. «Il vetro, non calpestabile - dice Cervesi - crea una visuale da terra al cielo all’interno del palazzo che ne richiama e nobilita la fisionomia di basilica laica». Il vero e proprio centro congressi sarebbe infatti una sorta di «scatola» inserita fra le nobili pareti settecentesche, inviolate dal restauro, «che resterebbe come un modellino».


Il giovane Cervesi è particolarmente critico nei confronti di tanta architettura moderna, «quei cubi, quelle scale storte, quelle idee bislacche che non dureranno, che fra un po’ di tempo si butteranno giù e che comunque non riusciranno a durare», e si richiama con entusiasmo alla grammatica del costruire, alle forme classiche, con simpatia per il carattere triestino, «perché - aggiunge - noi triestini abbiamo di buono che non ce la si dà a bere così facilmente». E dunque «il progetto - spiega - rende palazzo Carciotti un edificio pubblico per eccellenza, l’attività che in esso si svolge riguarda tutti i cittadini, e in termini architettonici questo riguarda la possibilità concreta di usufruire di spazi collettivi, di percorrere l’edificio come parte della città in cui sorge: la funzione di un edificio pubblico deve essere come quella del duomo della città antica e in particolare il suo essere piazza coperta e foro».


La classicità dunque, quella stessa che dalle forme del Carciotti emana, come stile da perseguire. E parlando di questa proiezione di cielo fin dentro il possente perimetro a galleria, Cervesi si rifà a famosi esempi: «La Borsa di Berlage ad Amsterdam, l’università di Moser a Zurigo, la galleria Vittorio Emanuele di Mengoni a Milano». Ma ciò che poi conta, in questa proposta, è «la manutenzione della struttura originaria». In che senso ciò avverrà, specie all’interno? «Il progetto - esplicita Cervesi - non si propone affatto di vuotare l’edificio ma soltanto di inserire la sala grande e le due sale minori all’interno della pianta esistente, ecco allora che non vengono interessati da opere di demolizione i muri esterni e i muri di spina, la sala grande occupa infatti lo spazio disegnato da tre delle quattro corti interne, limitando così le demolizioni ai soli muri prospicienti le corti stesse».


E queste corti, aggiunge il progettista, «sono state negli anni più recenti oggetto di modifiche e la loro conformazione risulta pertanto non più quella originaria, mentre la corte su cui si affaccia la parte nobile del palazzo sarà oggetto di restauro». Ma il restauro vero e proprio (oltre al già annunciato intervento di palificazione per rafforzare fondamenta che comunque trovano il tenero flysch a una buona misura di trenta metri di profondità) riguarderà le strutture lignee di copertura, «di notevole pregio - dice Cervesi -, per le quali si prevede un intervento di restauro statico conservativo», nonché i solai, che saranno consolidati. «Ed è così - conclude l’ingegnere - che l’edificio può contenere sia le tre sale sia ristorante, servizi, impianti, foresteria/albergo senza la necessità di interventi che alterino la forma e la tipologia dell’edificio nella sua sostanza».

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