Caporalato a Monfalcone, la denuncia dei sindacati: «A Panzano alto il rischio di illegalità»
MONFALCONE Ci vuole l’ennesimo scossone della Procura per capire che in fondo, come dice il segretario provinciale della Cgil Thomas Casotto, «in 12 anni di cronache operaie siamo sempre là». Che gli “incidenti”, nella storia dello stabilimento di Panzano, si ripetono. Che «c’è omertà perché c’è povertà». E che alla fine sono sempre gli ultimi arrivati, o gli ultimi per potere contrattuale ed economico, a finire nei meccanismi più perversi del reclutamento della manovalanza. Una strada per uscire da logiche «inaccettabili» – e i primi a dirlo sono i rappresentanti della comunità bengalese e musulmana in città – è la «maggiore consapevolezza dei propri diritti». E la progressiva «sindacalizzazione, anche nell’appalto e subappalto, da anteporre a eventuali sacche di illegalità». Lo ribadisce il collega della Uilm, Antonio Rodà.
«Si può fare di più? », chiede intanto Casotto. Certo, «ma noi non siamo l’esercito né la polizia». «È vero che alcune nostre segnalazioni, in passato, hanno dato il la ad attività investigative – osserva –, ma la legalità, in un Paese, deve essere mantenuta dallo Stato. Anche potenziando gli organici ispettivi, aumentando i controlli per qualità e quantità». Il cigiellino ricorda come in passato «la proposta di incrociare le timbrature con le ditte» sia stata cassata. «Eppure a una tale, ipotetica verifica, nel caso recente nulla sarebbe venuto a galla», sottolinea Casotto. Vige la presunzione d’innocenza e sarà la magistratura ad accertare quanto diramato ieri. A prescindere dagli ultimi accadimenti «purtroppo certi cattivi costumi non si debellano» e lo stesso sindacato osserva che la «legalità nell’appalto non è sempre così continua» e che «si incontrano lavoratori in condizioni non regolari». Ma pure la paura di ritorsioni. «Chi denuncia non lavora più – conclude Casotto – e in tal senso andrebbe fatto uno sforzo per tutelare chi trova il coraggio di parlare».
«Sicuramente le notizie che arrivano dal cantiere – commenta a sua volta Rodà della Uilm – non fanno bene al mondo del lavoro, anzi dimostrano che sull’appalto bisogna continuare a vigilare». «Se tutto ciò mi stupisce? Sebbene Fincantieri abbia fatto molti passi per superare gli scogli, per esempio depennando le imprese che non si comportano bene con i loro lavoratori – prosegue il sindacalista –, c’è ancora strada da fare. Ci sono situazioni che ricorrono, serve molta attenzione, sia da parte di chi è chiamato a indagare e pure da parte dell’azienda. Non le ho sentite ancora, ma ritengo che le Rsu dovrebbero farsi sentire, chiedendo spiegazioni». A fronte del fatto che spesso dinamiche scorrette coinvolgono lavoratori extracomunitari, Rodà così termina: «Laddove ci sono limiti di lingua, cultura, conoscenza delle leggi è più facile si inneschino certi meccanismi».
Preoccupazione pure da parte della comunità asiatica in città. «Se queste accuse si dimostreranno fondate allora sarà grave – commenta Jahangir Sarkar, presidente dell’Associazione genitori bengalesi –. Certi comportamenti non sono accettabili. Ma potrebbe non trattarsi di eccezioni perché negli ultimi dieci anni simili notizie sono giunte alla nostre orecchie, soprattutto da parte di lavoratori delle ditte». «Non ci sono prove – dice –, ma si ha spesso sentore, al di là dei casi specifici, che gli ultimi ad arrivare in città siano più esposti e che l’unico modo per guadagnare in certi ambiti sia lo sfruttamento: forse ci si arricchisce così. Chi arriva accetta, perché non ha altra possibilità e ha bisogno di lavorare. Fare più controlli potrebbe giovare». «Piena fiducia nella magistratura e in chi indaga» viene invece espressa da Bou Konate, rappresentante del centro Darus Salam. «L’importante – conclude – è arrivare a debellare quelle situazioni che non sono conformi alla visione di una società di diritto e democratica». —
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