Capogruppo Pd alla Camera, Serracchiani raccoglie consensi e la rivale Madia attacca l'uscente Delrio
ROMA Doveva essere più facile alla Camera il passaggio di consegne per il capogruppo Pd e invece è proprio a Montecitorio che va in scenda la prima vera e propria rissa dell’era di Enrico Letta. Sarà una donna a succedere a Graziano Delrio, come aveva chiesto il segretario, ma se al Senato anche la resistenza iniziale di Andrea Marcucci è stata superata dal voto unanime per Simona Malpezzi, nell’altro ramo del Parlamento si andrà a una conta e senza nemmeno fair-play: Marianna Madia, una delle due candidate, attacca il capogruppo uscente con una lettera ai deputati, parla di «cooptazione mascherata», accusando Delrio di avere sostanzialmente appoggiato Serracchiani. Un affondo che provoca la replica del presidente uscente che si dice «ferito dalle accuse», e anche dell’altra candidata: «Non posso credere che Marianna intenda riferirsi a me come una persona cooptabile», ribatte la Serracchiani.
Di fatto, nelle ultime ore è apparso chiaro che la ex presidente del Friuli Venezia Giulia sta raccogliendo la maggioranza dei consensi nel gruppo Pd della Camera. Con lei sono schierati buona parte dei deputati di Dario Franceschini, gode senz’altro della stima di Delrio – anche se il capogruppo uscente ci tiene a ribadire di non aver fatto trattative – verrà votata pure dalla maggioranza dell’area di Andrea Orlando.
Soprattuto, venerdì sera è arrivato un sostanziale via libera anche da Base riformista, l’area di Lorenzo Guerini e Luca Lotti che rappresenta almeno un terzo dei deputati Pd. Un appoggio che era già nell’aria, ma con la novità significativa del sì anche di Lotti, che pure nei giorni precedenti aveva espresso una preferenza per la Madia. Alla fine di una riunione di corrente, meno di un terzo di Base riformista si è detta a favore dell’ex ministra. Di fatto, con la Madia potrebbero schierarsi i Giovani turchi di Matteo Orfini – che però si riuniranno tra oggi e domani per decidere – e alcuni altri parlamentari dell’area che sosteneva Nicola Zingaretti. Non a caso anche ieri diversi dirigenti Pd hanno provato a convincerla a fare un passo indietro, permettendo una soluzione unitaria come al Senato.
Tentativo andato a vuoto, come dimostra appunto la lettera di fuoco della Madia ai parlamentari: «Quello che poteva essere un confronto sano tra persone che si stimano si è subito trasformato in altro. Immediatamente si è ripiombati nel tradizionale gioco di accordi trasversali più o meno espliciti con il capogruppo uscente». Nel mirino c’è appunto Delrio: «Da arbitro di una competizione da lui proposta, si è fatto attivo promotore di una delle due candidate». E sulla Serracchiani: «Debora è una persona autorevole. Ma, ripeto, di cooptazione mascherata si tratta».
Delrio replica amareggiato: «Non ho fatto trattative. Non merito accuse di manovre non trasparenti o di potere visto che a quel potere ho voluto rinunciare. Certe parole mi feriscono oltremodo». E la Serracchiani, a sua volta in una lettera ai deputati, ribatte: «L’autonomia è stata la cifra della mia storia personale e politica, e anche quando sono stata accanto a qualcuno l’ho fatto lealmente». Letta evita di commentare, fonti del Nazareno si limitano a ricordare che il segretario ha sempre detto che la competizione tra più nomi è salutare e che i gruppi sono autonomi.
Peraltro, il segretario dopo Pasqua dovrà risolvere il tema della candidatura per il sindaco di Roma, dopo l’annuncio delle primarie fatto venerdì. Letta vorrebbe primarie di coalizione, che però allo stato faticano a decollare: M5s è bloccato su Virginia Raggi e Carlo Calenda ha ribadito di ritenerle «difficili e inopportune», pur aggiungendo che ne parlerà con il leader Pd. —
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