Capelli o cappelli? Per Justin Smith è una storia di testa

Scoperto a Trieste, sfila a Londra, Parigi e Roma Le sue creazioni per il Giubileo della Regina

Con la sua pelle lattea e i capelli rossicci, il sole implacabile di quel luglio triestino del 2007 l’ha marchiato a fuoco. Ma l’ha anche tenuto a battesimo. Da “Its Six”, Justin Smith, cappellaio all’epoca uscito fresco fresco dal Royal College of Art, riparì per Londra con due premi importanti e la promessa di una carriera, diventata tale a tempo record. Le passerelle della London Fashion Week per le sue iperboliche creazioni lanciate con il marchio “J Smith esquire”, la nomina a imprenditore della moda dell’anno 2010 dal British Council, la collaborazione con grandi brand. E, complice ancora una volta Trieste, l’incontro, avvenuto qui qualche anno dopo, con Fabrizio Talia, con cui ha dato vita alla griffe di couture Es-Artesanal, che sfila ad Altaroma. «Trieste e la squadra di Its - racconta - sono stati un’esperienza incredibile, che non dimenticherò mai. Un melting pot eccitante di gente creativa, in uno scenario meraviglioso, davanti al mare. Per me è stato un privilegio e un onore essere finalista e i premi mi hanno aiutato a imparare qualcosa sull’industria della moda e a pianificare lo sviluppo della mia carriera. Da quella volta ritorno a Trieste ogni estate nei giorni del concorso. Senza questa visita il mio anno non sarebbe lo stesso».

Dai capelli ai cappelli: tutto inizia dalla testa...

«Sembra proprio che sia così. Ho cominciato facendo il parrucchiere da “Tony & Guy”, dove sono diventato insegnante e poi responsabile delle sfilate Avant Guard e degli stili alternativi del salone. Ma dopo un po’ ho capito che volevo di più dalla professione di parrucchiere. Ho iniziato a osare, andando oltre i limiti di ciò che si può fare con i capelli, e man mano che questi limiti si facevano sempre meno definiti ho iniziato a sognare “cappelli”. L’idea della cappelleria è nata mentre cercavo un modo perchè le forme stessero meglio in equilibrio sulla testa nelle mie sfilate».

Come ha deciso di diventare cappellaio?

«Per la verità, prima come un hobby. Ho fatto un corso per principianti, che poi mi ha portato a un corso medio e poi a uno avanzato. Alla fine sono arrivato al master al Royal College of Art. Non avrei mai creduto di fare un master in vita mia e mi sono goduto ogni momento di questo percorso».

Che cosa ha ispirato la collezione che ha proposto a Trieste?

«Avevo portato alcuni pezzi de “Le Cirque macabre”, la collezione che ho prodotto per la mia laurea al Royal College of Art nel 2007, totalmente ispirata a un funerale vittoriano. Ogni cappello era un pezzo particolare utilizzato dalle modelle per la performance che facevano in passerella. È stata una grande sfida creare cappelli per questo tipo di spettacolo, ma a me piacciono le sfide. Il video è su youtube...».

Dopo la scuola, subito l’approdo alla London Fashion Week. Com’è stata questa esperienza?

«Una grande opportunità per mostrare il mio lavoro. Devo dire che sono stato molto fortunato, perchè negli anni ho trovato gente fantastica che mi ha sostenuto. Il mio laboratorio di cappellaio è così cresciuto organicamente, anno dopo anno. Mi piace che si sviluppi in questo modo, che prenda molte direzioni inaspettate. È questo che lo fa funzionare, la libertà».

Da dove comincia quando crea un cappello?

«Dalle prove sulla testa di chi lo indosserà. Il punto di partenza principale è il mio cliente. Naturalmente, se parliamo di una collezione, è un po’ diverso, dipende se si tratta solo di una sfilata, o se devo dimostrare fino a che punto posso spingere la mia creatività di cappellaio. Se parliamo di vendite, cerco di creare cappelli molto desiderabili e pratici, qualcosa di cui ti innamori all’istante e che vuoi indossare spesso, in modo che diventi parte della tua identità. È per questo che mi piace “vestire” la testa: dà un grande potere alla persona».

Dice di seguire le tecniche del passato: quali stilisti?

«La mia bisnonna, Iris, era una cappellaia. Ho cominciato guardando lei. Certo, grandi designer come Chanel, Schiaparelli e McQueen sono dei punti di riferimento, ma anche gli artigiani di diversi paesi del mondo, che trasmettono le loro tecniche alle nuove generazioni. In verità non seguo nessuno in particolare, mi piacciono soprattutto il pezzo d’artigianato, la tecnica, qualcosa fatto molto bene e con amore».

Qual è il cappello più strano che ha confezionato?

«L’anno scorso ha creato una grande bombetta di Lego per una cabina telefonica e un gigantesco paio di ali per la statua della Regina Vittoria vicino al ponte di Blackfriars a Londra. Erano entrambi per il Giubileo della regina e per le Olimpiadi, è stato davvero un anno positivo».

Per il Giubileo ha fatto qualcosa di speciale?

«Una piccola collezione di pezzi unici, divertenti e con un che di celebrativo. È stato bello creare con in mente solo divertimento e bellezza. Ho organizzato una vendita, nel mio studio, come faccio di tanto in tanto, e i cappelli hanno trovato spontaneamente il loro proprietario. Ciascuno gironzolava vicino al pezzo che gli piaceva di più e che sapeva gli sarebbe stato bene. Mi gratifica vendere in questo modo».

Che cosa metterebbe in testa alla regina? E a Kate Middleton?

«Beh, non sono un cappellaio convenzionale, mi piacerebbe metterle un po’ alla prova... Niente di esagerato, probabilmente qualcosa molto ispirato al vintage. Comincerei incontrandole e poi seguirei i miei sentimenti di pari passo con la personalità del cliente».

Com’è collaborare con stilisti importanti?

«Per me è la stessa cosa incontrare un cliente come parrucchiere o come cappellaio. Il mio lavoro è proporre il cappello dei sogni, che sta bene ed è bello. Ho lavorato con Moschino, con Manish Arora, con Stella McCartney, per citarne alcuni: non è sempre semplice, chiunque sia il tuo interlocutore, ma la sfida mi stimola».

E poi ha creato un proprio brand...

«A Trieste ho incontrato lo stilista Fabrizio Talia. Appena abbiamo iniziato a parlare è scattato qualcosa di magico. Insieme abbiamo fondato Es-Artisanal, che ha sempre più successo. La collaborazione funziona e dal nostro lavoro si intuisce la gioia che proviamo nel farlo. Certo, non è facile lanciare una griffe, specialmente se punta ai pezzi unici, ma sono convinto che è il modo migliore di lavorare: creare qualcosa senza tempo, eccezionalmente ben confezionato, che speriamo duri più a lungo di me».

Lei ha fatto anche cappelli per portieri d’albergo...

«Per il gruppo Gouman. Per tre giorni sono andato in giro nei loro cinque hotel a Londra. Ho preparato una forma comune e, per ogni albergo, una rifinitura diversa ispirata all’architettura interna dell’edificio. Ogni cappello è fatto a mano sulle misure di ciascun portiere. È stata una faticaccia, ma la collezione è riuscita molto bene ed è stata celebrata con una mostra di cinque anni del mio lavoro al loro bellissimo hotel “Royal Horseguards” a Westminster».

C’è una donna italiana alla quale regalerebbe un suo copricapo?

«Sophia Loren, sono sicuro, sarebbe una splendida musa».

E quello da cui non si separa mai?

«Vado a fasi, al momento non riesco proprio a togliermi un cappello di feltro d’angora leopardato, con le falde arrotolate. Di solito il mio favorito è quello che riesco a “sottrarre” da una collezione o quello che faccio per me, sempre che riesca a trovare il tempo».

@boria_A

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