Campo nomadi abusivo, sette condannea Trieste
Sei mesi di carcere per sette dei nove imputati dell’ennesimo processo collegato all’insediamento in via Pietraferrata 50 di una decina di roulotte in cui vivono altrettante famiglie “nomadi”.
Il giudice Paolo Vascotto ha accolto la tesi del pm Federico Frezza e ha ritenuto abusivo l’insediamento delle roulotte che i proprietari hanno trasformato, pur mantenendo in bella vista le ruote, in casette stabilmente “incorporate” al suolo. Di qui, secondo la Procura della Repubblica - e ora anche del Tribunale - una palese violazione delle norme edilizie. I condannati sono Elvis Levacovich, rinchiuso ora al Coroneo come indagato per la recente e clamorosa rapina messa a segno in una abitazione di Domio; Lussi Carri, Marisa Carri, Cristopher Carri, Doris Hudorovich, Inglis Levacovich, Genny Kari. Assolti invece Sarita Stefani e Natascia Levacovich.
Le roulotte erano allacciate alla rete Acegas come da contratto. «Sicchè - scrivono gli inquirenti- si tratta di un bene non più mobile, bensì ormai stabilmente incorporato al suolo, lì collocato dagli imputati senza il necessario permesso di costruire».
Diversa anzi opposta la tesi dell’avvocato Riccardo Cattarini e del collega Giovanni Di Lullo che nel corso del dibattimento si sono richiamati alla legge regionale 12 del 2008. Il provvedimento dice che le roulotte non possono essere considerate un manufatto edilizio. Inoltre se l’insediamento fosse abusivo, l’Acegas non avrebbe potuto sottoscrivere i contratti di fornitura per l’acqua e l’elettricità. I contratti, come è emerso nel corso dell’istruttoria, avevano però validità trimestrale, provvisoria, non definitiva.
«Ricorrerò in appello» ha confermato l’avvocato Cattarini che ha anche sottolineato come una precedente sentenza del giudice Giorgio Nicoli avesse mandato assolti una dozzina di sinti accusati di aver occupato abusivamente il campo di via Pietraferrata in cui vivono da più di vent’anni. La formula usata dal magistrato era stata «perché il fatto non costituisce reato». In altri termini «la copiosissima documentazione politica, amministrativa e giurisdizionale, svela in termini inequivocabile, come l’esistenza sul terreno di via Pietraferrata di un campo nomadi, non solo fosse una circostanza di fatto, perfettamente nota a tutte le autorità amministrative, sanitarie e di polizia, ma fosse stata più volte valutata sotto vari profili- in riunioni, pareri, provvedimenti formali, scambi epistolari - quale problematica la cui soluzione non poteva tradursi in uno sgombero coatto dell’area». c.e.
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