Campiello “postumo” a Riccarelli
inviato a VENEZIA
Alla fine ha vinto il libro più bello. E anche se Ugo Riccarelli è morto il 21 luglio, il Premio Campiello numero 51 ha incoronato il suo romanzo "L'amore graffia il mondo" (Mondadori) come il miglior romanzo del 2013. La giuria dei 300 lettori (con alcuni nomi famosi come l'attrice Ottavia Piccolo, Gioele Dix, l'ex ministro Giorgia Meloni, il giornalista Nicola Porro, Massimo Donadon, Gaetano Marzotto, oltre a illustri conosciuti, tra cui cinque triestini e due pordenonesi) ha assegnato 102 voti allo scrittore di Ciriè, Piemonte, 83 sono andati a Fabio Stassi con "L'ultimo ballo di Charlot" (Sellerio). Nettamente più staccati Giovanni Cocco, 47, con "La caduta" (Nutrimenti), Beatrice Masini, 36, con "Tentativi di botanica degli affetti" (Bompiani) e Giovanni Magrelli, 21, con "Geologia di un padre" (Einaudi). Ha ritirato il premio la vedova, Roberta Riccarelli che ha detto: «Sono orgogliosa per lui e per tutte le donne che il suo libro rappresenta».
Neri Marcorè e Geppi Cucciari hanno dato alla serata un ritmo frizzante, nonostante il problemi con il conteggio dei viti. Lei è partita in quarta: «Tante novità qui al Teatro La Fenice: hanno ritinteggiato il foyer, hanno cambiato gli addetti al bar e anche i conduttori». E lui: «Hanno congedato Bruno Vespa, che ci segue da casa». In sala, oltre a uno stuolo di industriali, anche i due ultimi vincitori del Campiello Carmine Abate e Andrea Molesini.
Donne, donne, a guardarlo bene in un certo senso è stato un Campiello al femminile. A cominciare dalla giornalista Carlotta Tedeschi, di RadioRai 1, che ha condotto la conferenza stampa nelle splendide sale di Palazzo Correr. Proseguendo con Giulia Ichino, la giovane editor che Mondadori ha mandato a Venezia per dare voce a Ugo Riccarelli. «Il suo personaggio di Signorina - ha detto- risulta credibile perché lui era uno scrittore che amava le donne, le ascoltava, le osservava. Anche per questo ha dato forma a una figura da romanzo che dimostra come, sempre più spesso, il mondo femminile deve abituarsi alle rinunce. Per non perdere l'amore, la famiglia, i figli». E poi, nella narrativa di Riccarelli, «ogni cosa ha un'anima: l'oca che assomiglia a uno spirito guida, il maialino, l'omino che le insegna a costruire un abito per bambole con un foglio di carta».
E anche Beatrice Masini, unica donna in gara che però non ha vinto, volendo tracciare la botanica degli affetti, si è ritrovata a poter rivalutare il ruolo femminile nell'Ottocento. «Volevo fare un viaggio a ritroso nel tempo. Mi sono servite molte pagine, sono partita lenta, ma dovevo prima mettere i personaggi in cornice. Fare il loro ritratto. E poi portarli fuori dal quadro per renderli protagonisti. Con Bianca ho vendicato un po' le figure delle women of flowers, quelle donne dei fiori che lavoravano anche se allora dovevano mascherarsi dietro pseudonimi maschili: non era consentito loro apparire in prima persona».
Perfino Fabio Stassi ha messo il destino del suo Charlot nelle mani di una donna. Di una signora potente e terribilmente sola come la Morte. «Il mio libro è una danza tra un vecchio attore, che si chia. mava Charlie Chaplin, e la Nera Signora. C'è complicità tra loro, lei prova quasi un senso di colpa per dover sottrarre la vita agli uomini». In realtà, lo scrittore evava pensato, in un primo tempo, a una sorta di piccolo racconto di Natale. «In casa nostra c'era questo incontro continuo tra la vita e la morte. Mia nonna, per le feste, apparecchiava un grande tavolo anche per chi non c'era più, o perché era emigrato o perché se n'era andato per sempre. Volevo raccontare anche la scomparsa dei padri attraverso un personaggio, come Chaplin, che aveva l'età per essere già nonno, ma non voleva andarsene senza prima avere consegnato a suo figlio un bagaglio importante di ricordi, di esperienze».
E se quello di Chaplin era un mondo in evoluzione, il nostro tempo sembra arrivato all'ultima fermata. A un passo dall'apocalisse. Soprattutto per chi guarda la realtà con gli occhi di Giovanni Cocco. «La caduta dell'Occidente, che io racconto, è già qui, sotto gli occhi di tutti. L'aborto, l'immigrazione, le rivolte nelle banlieu parigine, la miseria, le stragi senza senso... Volevo fare un libro che non fosse provinciale, ma potesse ricordare il grande romanzo americano. Mettere in scena anche quell'innocenza, quella seconda opportunità che la vita dona a ognuno di noi, passando per l'inferno della realtà. In un mondo globalizzato, con internet che ci insegue dappertutto, anche uno scrittore italiano può tentare di svecchiare il proprio modo di fare letteratura. Allargando l'orizzonte. Tutto questo mi è stato possibile grazie a un editore indipendente».
Nello sfascio di questi anni, qualcosa si salva. Quando si è trovato a seguire il padre vecchio e malato, Valerio Magrelli ha capito che almeno su un punto l'Italia si rivela superiore alla civilissima America. «Anche una persona che non è ricca, qui può ottenere un'assistenza sanitaria di ottimo livello». Mai in sintonia con le avanguardie artistiche («Sono un studioso di letteratura francese, il mio primo libro l'ho dedicato al dadaismo, ma sono convinto che chi vuole troppo sperimentare, finisce per lasciare dietro di sé solo forfora, come dice Alberto Arbasino»), ha fatto del suo libro «una commistione di generi, tra narrativa, poesia, creazione grafica, che si ricollega ai grandi miti della letteratura. Racconto, ad esempio, che in certe giornate spingevo mio padre con il girello, ero una sorta di Enea con il vecchio Anchise, anche se ho cercato sempre di guardare questa sovrapposizione con i personaggi di Virgilio con grande distacco. Perché la vecchiaia è soprattutto uno stato allucinatorio».
Per raccontare i disagi di un'adolescente con troppa ciccia addosso, Matteo Cellini si è calato nei panni di una ragazza scrivendo il suo romanzo "Cate, io" (Fazi editore) che ha vinto il Campiello Opera Prima. «Caterina si porta dentro qualche mio dolore infantile. Non ho provato il disagio dell'obesità, ma il desiderio di essere omologato, la paura di non sapere che cosa gli altri pensano di noi». Professore alle scuole medie, è convinto che «fino a 14 anni basta il calore della famiglia per superare le cattiverie dei compagni. Dopo, le ferite devi imparare a curartele da solo». Ospite d'onore, Alberto Arbasino al quale è andato il Premio Fondazione Il Campiello. «Spesso gli scrittori - ha detto- sentono il desiderio di modificare i propri testi. Posso dirvi che tra il "Fratelli d'Italia" della prima edizione e quello più recente c'è ben poco in comune».
alemezio
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