Camici bianchi in rivolta contro la riforma della sanità

Il sindacato dei medici ospedalieri Anao-Assomed critica il piano di riassetto: "È un pericoloso libro dei sogni"
L'ospedale di Cattinara
L'ospedale di Cattinara

Sarà il primo impegno per piazza Oberdan. Rientrati dalla ferie, i consiglieri regionali cominceranno l’attività politica proprio con l’esame in Commissione della riforma sanitaria targata Telesca. La legge sarà accompagnata da un allegato, forse imprevisto: la bocciatura netta che, questa volta, piomba dai camici bianchi. L’Anaao-Assomed, associazione medici dirigenti, è convinta di avere tra le mani un “libro dei sogni”. Cambiare il settore, questo viene riconosciuto, è certamente necessario; non fosse altro per la riduzione dei fondi pubblici disponibili. Tuttavia, stoppa il sindacato (con 400 iscritti uno dei più rappresentativi nel servizio pubblico regionale) l’attuale progetto «desta profonde preoccupazioni tra noi», rileva la segretaria regionale Laura Stabile, direttore della Medicina d’urgenza dell’ospedale di Cattinara.

A suscitare i timori sono i tagli agli ospedali a vantaggio dei servizi territoriali. «Si rischia di mettere in ginocchio il sistema». È proprio la volontà di dirottare risorse sulle aziende sanitarie, piuttosto che sulle strutture di ricovero, il “libro dei sogni” che il sindacato teme di ritrovarsi. La previsione, osserva l’associazione, è la diffusione capillare di centri di assistenza primaria sul territorio (uno ogni 20- 30 mila abitanti) che garantiscano l’attività assistenziale nell'arco delle ventiquattr'ore sette giorni la settimana, assicurando assistenza medica e specialistica, diagnostica strumentale, prelievi, prenotazioni e servizi amministrativi, oltre che l’assistenza domiciliare.

Ma, avverte Stabile, «la proposta di riforma non sembra prendere in considerazione i costi ipotizzabili per un progetto del genere. Il fatto che nella nostra regione dovrebbero esservi da 40 a 60 centri, dei quali 8 - 12 solo nelle provincia di Trieste, tutti dotati di locali, strumentazioni e personale necessari a garantire l’assistenza prevista, desta diverse perplessità sulla possibilità che esistano le risorse a coprirne i costi», è la critica. «Non potrebbe in ogni caso trattarsi di una mera moltiplicazione di strutture e sportelli», afferma il sindacato, visto che il funzionamento del sistema «richiederebbe una forte programmazione, organizzazione e formazione del personale, volte a cambiare mentalità, cultura e competenze, e la messa a regime del sistema richiederebbe sicuramente diversi anni». Secondo l’analisi dell’Anaao-Assomed, «la riforma non accenna a questi aspetti, e vi è la seria preoccupazione che la nuova medicina territoriale, istituita solo per decreto regionale, non sia in grado di evitare come si vorrebbe il ricorso all'ospedale, e che si produca nella sanità pubblica una carenza di assistenza, che oltretutto alimenterebbe il ricorso alle strutture private».


Tutto ciò sul piano dei contenuti. Ma il sindacato contesta anche il metodo o, meglio, la mancanza di un confronto con l’assessore. «Non vi è stata alcuna consultazione dei rappresentanti dei medici e dirigenti sanitari nella definizione della riforma – è la denuncia – e tutt’ora l'assessore non ha nemmeno reso noto quali professionisti siano stati scelti, e con quali criteri, per costituire i gruppi di lavoro ai quali la Regione afferma di essersi affidata». «È dal lavoro dei professionisti – conclude Stabile – e dal pieno coinvolgimento di questi, che si deve ripartire per costruire una riforma che, in questo difficile momento di crisi, tagli efficacemente gli sprechi e garantisca una valida assistenza ai cittadini». Telesca non si scompone più di tanto. «Ci eravamo incontrati nei mesi scorsi per il documento programmatico - rileva - ma non erano emerse particolari osservazioni negative. Quanto all’attuazione, capisco le preoccupazioni ma questa è l’unica strada possibile: razionalizzare il sistema ospedale. Anche perché la riduzione dei posti per acuti è un indirizzo nazionale dal momento che la strada è spostare le attività sul territorio. È una sfida, ma non siamo così folli da ridurre l’offerta ospedaliera a fronte di niente».
 

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