Calunnia a luci rosse, quattro anni
Quattro anni a testa per una calunnia a base di immagini pedopornografiche.
Lo scopo della macchinazione era di incastrare il presidente del Tennis club Muggia, Italo Galaverna. La pesante condanna è stata inflitta agli impresari Michele Genna, 50 anni, e Claudio Ciofi, 67 anni dal collegio presieduto da Filippo Gulotta e composto dai giudici Casavecchia e Vascotto. Gli imputati erano difesi dagli avvocati Maria Genovese e Maria Pia Majer. Secondo l'inchiesta diretta dal pm Lucia Baldovin, i due imprenditori più volte assurti alla ribalta della cronaca (Genna era in una cordata che fino all’ultimo era in corsa per rilevare la Triestina), avevano tentato - e c’erano anche riusciti in parte - di mettere con le spalle al muro il presidente del tennis Galaverna che si opponeva al loro disegno speculativo. Genna e Ciofi avevano infatti comprato dalla parrocchia di Muggia per 250 mila euro l’area su cui erano insediati i campi da tennis del club ed erano riusciti a concludere un contratto preliminare con una società immobiliare trentina disposta a pagare la stessa area, una volta liberata da ogni vincolo affittuario, almeno dodici volte tanto: tre milioni di euro. Un affarone. Ma c’era un problema. Italo Galaverna e il suo club rappresentavano per Genna e Ciofi l’unico ostacolo alla conclusione del business e secondo quanto è emerso nel corso del processo, i due per toglierlo di mezzo, hanno cercato di screditarlo facendolo passare per un pedofilo. C’erano anche riusciti in parte e il presidente del club era stato indagato per questa ipotesi di reato che lascia spesso una macchia indelebile. La sua abitazione era stata perquisita dalla Digos, i computer erano stati prelevati e sequestrati, sua moglie Laura Schirò era stata colpita da un infarto ed era finita all'ospedale quando aveva saputo dallo stesso marito cosa stavano cercando i poliziotti.
Non solo. Per rendere più credibile la messinscena e guadagnare prestigio, Genna aveva portato in Curia lo scatolone con le foto porno consegnandolo a don Emilio Salvadè. Il quale poi si era messo in contatto con la Digos.
Questa inchiesta si è prima arenata e poi definitivamente chiusa con l'archiviazione. Italo Galaverna è risultato innocente e chi lo aveva cercato di mettere nei guai facendogli rischiare, oltre al nome, anche dieci anni di galera, si è trovato a sua volta nel mirino degli investigatori. E ieri la condanna.
In sintesi i due costruttori condannati per calunnia hanno delibertamente inserito delle immagini pedopornografiche all'interno di uno dei scatoloni in cui il presidente conservava le immagini realizzate in viaggi in terra lontane, tra cui Cuba. Poi uno dei due scatoloni era stato portato alla Digos perché avviasse l'inchiesta. Ma l’effetto è stato quello di un boomerang. Alla fine, una pesante condanna. Non solo. Italo Galaverna e la moglie Laura Schirò (che si sono costituiti parte civile con l’avvocato Gianfranco Carbone) hanno ottenuto una provisionale di 80mila euro. «Impugneremo la sentenza che attendiamo di leggere», ha annunciato l’avvocato Genovese.
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