Calabrese: «La mia carriera iniziata dal palco in cemento di Melara, tra tute colorate e libertà»
L’attore e cantante triestino degli Oblivion cresciuto nel cubone: «Oggi il quartiere è più calmo, ma non per questo meno vivo»
TRIESTE Il giorno in cui gli comunicò che avrebbero lasciato la casa in centro città per trasferirsi nelle dimore popolari di Melara, il padre, forse per consolarlo, gli regalò un fumetto. L’albo raccontava le avventure a colori di un bambino ritrovatosi, proprio come lui, catapultato tra i cunicoli stretti e bui del quadrilatero di cemento: un mondo «apparentemente inquietante», che lo spaventava, perché «all’epoca i muri non erano riempiti di murales come adesso». Eppure capace di esperienze e incontri «indimenticabili»: una struttura enorme, misteriosa, in cui si trovavano aree giochi, ludoteche, calzolai, farmacie.
L’accento da melarino doc
«Mi sembrava assurdo che dentro Melara ci fosse addirittura un anfiteatro», racconta Davide Calabrese, attore, cantante e cabarettista triestino: anzi, «fieramente di Melara». Aveva dieci anni quando era andato a viverci e venti quando, nel 2000, l’ha lasciata per studiare all’Accademia di Musical di Bologna, prima di unirsi al gruppo musicale-teatrale degli Oblivion. «Ma se voglio ti caccio fuori un accento melarino doc».
Nei suoi ricordi rivive una Melara diversa da quella che ritrova quando, oggi, torna nel quadrilatero per fare visita a mamma Lucia, casalinga, e papà Claudio, ex infermiere, che dopo la pensione si è occupato volontariamente del portierato del cubone.
Il ricordo di un quadrilatero caotico
Il suo è il ricordo di una Melara più caotica, ma in senso buono. «Era come un carnevale», meno romantica della periferia da videoclip pop: un «rione da shock», senza “tute gold” ma piena di tute dai colori accesi, di seconda mano, indossate senza pensarci troppo.
Erano «tutte distrutte», quelle tute, sbucciate sulle ginocchia dopo intere giornate passate a giocare senza la supervisione degli adulti. «Tra le quattro ali del quadrilatero – racconta – era inimicizia totale: ma il più delle volte, ce la risolvevamo a calcio. Eravamo tutti sulla stessa barca del resto: se vivevi a Melara, era perché eri nelle case popolari». Alla fine «eravamo tutti amici, ancora lo siamo: quando torno a esibirmi in città, i melarini sono sempre nel pubblico».
Una Melara più calma
«Mettiamo da parte i pregiudizi», dice: Melara «è diventata più calma, più sicura, meno da shock». Forse perché, dice, «la gente ha finalmente imparato ad amarla e rispettarla: ed è ora che lo faccia anche la città». Melara, ripete, «è più calma», ma non è meno «viva», sempre capace di avventure a fumetti e libertà creativa. «La mia carriera – racconta Calabrese – è iniziata proprio da quel palcoscenici in cemento: ero il barzellettiere del gruppo, superavamo le dispute così». Anche perché, ammette, «a calcio facevo abbastanza pena».
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