Bypass fatale per un errore

Il medico udinese Conte morì per un inversione dei tubi

Il caso. Un’accidentale inversione dei tubi della macchina cuore-polmone: il chirurgo Luigi Conte, per anni presidente dell’Ordine dei medici di Udine, sarebbe morto per questo. Per un tragico errore umano avvenuto durante l’intervento di by-pass coronarico cui era stato sottoposto il 2 febbraio scorso all’ospedale “Santa Maria della Misericordia”. Un errore favorito forse dalla mancata adozione, da parte del reparto, delle particolari cautele previste dal protocollo, e che avrebbe comunque potuto essere evitato o, quantomeno, limitato da un migliore lavoro di squadra.

L’autopsia: morte compatibile col protocollo
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La perizia. Sono queste le conclusioni cui è approdato il team di periti cui il gip del tribunale di Udine, Andrea Comez, lo scorso 15 febbraio aveva affidato l’incarico di eseguire l’autopsia sul corpo di Conte nella forma dell’incidente probatorio. Depositato in questi giorni al giudice, l’elaborato sarà illustrato alle parti nell’udienza fissata per martedì 30 maggio, insieme alle osservazioni degli altri consulenti a loro volta nominati dal pm Lucia Terzariol, titolare del fascicolo aperto sul caso per l’ipotesi di reato di omicidio colposo per colpa medica, e dai difensori dei sei sanitari dell’équipe chirurgica che eseguì l’intervento.

La causa. Chiarita fin dall’inizio la causa del decesso - una massiva embolia gassosa cerebrale di natura iatrogena -, i periti hanno individuato il mezzo produttivo della stessa «in un erroneo allestimento, da parte del tecnico perfusionista, della macchina cuore-polmone (l’apparecchiatura che garantisce la sopravvivenza del paziente durante l’operazione, sostituendone temporaneamente le funzioni cardio-polmonari, ndr), con inversione del tubo collegato al vent aortico, che invece di aspirare il sangue, ha pompato l’aria nella circolazione arteriosa del paziente». Il che, se ve ne fosse ancora bisogno, basta e avanza per ravvisare un nesso causale tra l’intervento chirurgico e il conseguente decesso.

Operata d’ernia a Palmanova muore dopo l’intervento
Udine. Ospedale Civile Santa Maria della Misericordia. Petrussi Foto Press

Un errore fatale. Nel precisare essersi trattato comunque di un’inversione «accidentale», il collegio peritale - il medico legale Yao Chen, il cardiologo Carlo Pellegrini e la perfusionista Antonella Degani - non ha escluso l’ipotesi che a favorire l’errore sia stata «la mancata standardizzazione nel set up delle pompe per circolazione extracorporea». E cioè la mancata adozione della serie di procedure - tra cui il cosiddetto test dell’acqua - previste dalle linee guida per controllare l’operato del perfusionista e correggerne eventuali errori. Da qui, l’estensione all’intera équipe di una seppur parziale responsabilità nella gestione del caso. «Una migliore comunicazione e una virtuosa interazione tra il perfusionista e il team cardiochirurgico – si legge nella perizia – avrebbero potuto, se non evitare, almeno limitare la portata del danno provocato al paziente».

Nulla quaestio sul resto dell’intervento. «Dopo il riscontro di aria nell’aorta e nel cuore – osservano i periti –, è stata applicata, tempestivamente, la maggior parte delle procedure raccomandate nella gestione dell’embolia gassosa massiva, a eccezione della retro-perfusione cerebrale». Aspetto, quest’ultimo, su cui non è stato possibile stabilire con certezza un nesso di causa con il decesso. Quanto al macchinario, sequestrato dai carabinieri subito dopo l’apertura del fascicolo, l’esame visivo e funzionale ne «ha confermato la sostanziale regolarità». Nel definire il caso «particolarmente complesso», il procuratore Antonio De Nicolo ha parlato di «questioni giuridiche non facili da verificare rispetto sia alle eventuali responsabilità individuali, sia a quelle in capo all’équipe. Serve tempo per riflettere – ha detto – anche alla luce dei contributi che arriveranno dalle difese».

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