Burlo: nel 17% del personale rilevati gli anticorpi al Covid
Il primo studio italiano condotto in un ospedale madre-bambino per valutare lo stato immunitario. «I dati possono rispecchiare lo scenario in regione»

L'ospedale infantile Burlo Garofolo
TRIESTE È la prima indagine italiana svolta in un ospedale per la valutazione dello stato immunitario del personale, amministrativo e sanitario, nei confronti del Covid-19. A effettuarla è stato l’Irccs Burlo Garofolo, attraverso un doppio esame: il classico tampone e il test anticorpale. I risultati dell’indagine, che ha coinvolto tutti i circa 800 dipendenti dell’ospedale (727 per l’esattezza) , ha confermato che il 17,2% del campione, pur se asintomatico o paucisintomatico, è entrato a contatto con il virus, sviluppando i relativi anticorpi. Mentre la positività al tampone è stata riscontrata in un unico caso, che era già stato rilevato e messo in isolamento.
Questa situazione potrebbe rispecchiare i dati sulla diffusione del coronavirus nella popolazione. La ricerca, che si è avvalsa della collaborazione dei genetisti dell’Irccs Burlo Garofolo, è stata condotta con il coordinamento del laboratorio avanzato di microbiologia traslazionale dell’Università di Trieste e del Burlo e ha come prima firmataria la microbiologa Manola Comar.
Coronavirus, la differenza tra il tampone e i test sierologici - Videoscheda
Ne abbiamo discusso con Giorgia Girotto, genetista del Burlo. «Nel mondo sono numerosissimi gli scienziati che stanno lavorando per cercare di avere dati realistici sulla diffusione del virus, sia dal punto di vista dei soggetti attualmente positivi sia degli individui positivi agli anticorpi, che possiamo considerare immuni anche se non sappiamo ancora quanto questa immunità duri nel tempo. Perciò abbiamo deciso di prendere a campione il nostro ospedale e sottoporre tutti i dipendenti al tampone e al test sierologico, per capire se avevano sviluppato oppure no gli anticorpi contro il Covid-19 - spiega Girotto -. Abbiamo diviso il campione in tre classi di rischio: i soggetti a basso rischio, non esposti, come gli amministrativi; quelli a medio rischio, come i tecnici di laboratorio e il personale sanitario e i medici non a stretto contatto con i pazienti; e quelli ad alto rischio, come i ginecologi e i medici del pronto soccorso».
Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad anamnesi, per capire se avevano sviluppato una sintomatologia riconducibile al nuovo coronavirus. «I risultati ci hanno indicato una stessa prevalenza di positività al test anticorpale per la classe a medio e quella ad alto rischio: significa che i sistemi di protezione hanno funzionato - racconta la genetista -. Abbiamo inoltre riscontrato nella classe ad alto rischio una maggiore positività agli anticorpi dei medici rispetto agli infermieri: indica che i medici per tipologia di attività e formazione hanno comportamenti talvolta diversi».
Il 17% risultato positivo agli anticorpi aveva sviluppato una sintomatologia nulla o lieve, spaziando dal banale raffreddore all’astenia, dalla febbre alla tosse. «Noi crediamo che questi dati possano rispecchiare il contagio tra la popolazione del Friuli Venezia Giulia: anche i dati forniti in questi giorni da alcuni studi danno valori analoghi», evidenzia Girotto.
Ma quanto affidabile è il test anticorpale? «Ne abbiamo provati diversi e quello che abbiamo utilizzato sembra essere affidabile - afferma la genetista -. In questi giorni ne stiamo mettendo a punto uno ancora più accurato, che sfrutta la tecnologia Elisa e ci permette la titolazione anticorpale».
Il prossimo passo, conclude Girotto, sarà uno studio genetico di una coorte selezionata di soggetti tra quelli che hanno contratto il virus e hanno sviluppato una sintomatologia grave, e quelli che invece hanno avuto sintomi lievi, per cercare di capire se ci sono particolari varianti a livello di geni tra gli uni e gli altri. —
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