«Buoni pasto, guadagni sempre più ridotti» Ristoratori in rivolta

Fipe: le società dicano stop alle gare al ribasso con chi vende i ticket, o inizieremo a rifiutarli danneggiando i lavoratori
Di Laura Tonero
sterle trieste tavola calda pepi sciavo alla c a dott carrara pregasi di archiviare
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I dipendenti di varie società triestine potrebbero vedersi rifiutare i buoni pasto in molti locali cittadini. Perché è in atto una sorta di rivolta dei ristoratori contro le aziende che erogano i buoni e contro le società che li distribuiscono ai propri dipendenti. Da pochi giorni infatti una delle più importanti realtà di vendita di buoni pasto, la Qui Services che distribuisce i Qui Ticket, ha comunicato ai gestori dei locali che la percentuale che dovranno restituire non sarà più del 10 o dell'11, bensì del 12%, più Iva naturalmente. Questo mentre anni fa le aziende erogatrici di buoni si intascavano al massimo il 6%.

I ristoratori sono sul piede di guerra e nei prossimi giorni dalla Fipe partirà una raccomandata indirizzata ai rappresentanti dei lavoratori delle più importanti aziende che a Trieste distribuiscono ai propri dipendenti buoni pasto. «Sarà sottoscritta da molti convenzionati - dichiara Bruno Vesnaver, presidente Fipe - e inviterà i sindacati a fare pressioni sulle aziende affinché mettano fine alle gare al ribasso con chi vende loro i buoni pasto. Altrimenti saremo costretti a rifiutarli ai danni dei lavoratori, cioè di chi ne usufruisce». Utilizzano la soluzione dei buoni pasto aziende come Generali, AcegasAps, Comune, Provincia, Fincantieri, Agenzia delle Entrate e diversi istituti di credito. È ai loro lavoratori che la Fipe indirizzerà l'appello.

Ma quale è l'intricato meccanismo dei buoni pasto? Le aziende con molti dipendenti, e che in linea di massima non hanno una mensa interna, distribuiscono ai propri assunti i buoni. «Buoni pasto che acquistano mediante gara d'appalto - spiega Fabrizio Ziberna, segretario Fipe - da aziende specializzate che lavorano a livello nazionale. Per vincere le gare le aziende che li producono giocano al ribasso». E un buono che poi per il lavoratore vale, ad esempio, 5 euro lo propongono alla società che poi li distribuisce a circa 4,45 euro. Il resto della cifra - 0,55 euro in questo caso – se la fanno dare dal ristoratore che li ritira. Ma siccome le grandi società pretendono costi sempre più ridotti, a diminuire è anche il guadagno di chi gestisce bar, ristoranti e altre realtà che accettano i buoni. Va detto che ogni dipendente potrebbe, per regola, usare un buono al giorno come servizio sostitutivo della mensa. È noto che invece i buoni a Trieste vengono utilizzati per fare la spesa in salumerie e supermercati, inclusi gli alcolici che non dovrebbero essere venduti con i buoni.

«La forma di protesta più efficace - propone Vesnaver - consisterebbe nel sospendere in blocco, tutti i ristoratori e i baristi uniti, per almeno una settimana il ritiro di buoni. Ma con la fame di denaro che c'è in giro tra gli appartenenti alla categoria, sicuramente in molti comprensibilmente non rispetterebbero lo stop. Per questo abbiamo pensato a un'alternativa e a far fare pressione sulle realtà triestine che li acquistano: sono loro che devono far cambiare il meccanismo. Mi dispiace per i lavoratori - aggiunge - ma non possiamo più sottostare a queste richieste esagerate. Paghiamo sempre noi e io sono seriamente intenzionato a recedere dal contratto con questa e altre società».

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