Buon compleanno Ursus, cento candeline
Un simbolo dell’attaccamento della città al mare, alle navi, ai cantieri e a una tradizione che fece grande Trieste. Ma anche l’esempio evidente del prolungato colpevole disinteresse dei pubblici poteri per la sorte di uno straordinario strumento tecnico che fu protagonista della storia del porto e delle costruzioni mercantili e militari.
Queste due diverse valutazioni coinvolgono da versanti opposti l’Ursus, la gru galleggiante che sta per compiere cent’anni. Il 29 gennaio del 1914 fu infatti varato da uno scalo dello Stabilimento tecnico triestino lo scafo d’acciaio che oggi attende la propria sorte stancamente ormeggiato a una banchina di quello che fu il Porto Vecchio. Dal luglio del 2011 l’Ursus è monumento nazionale e questo stato giuridico lo protegge dallo smantellamento e dal fuoco degli altiforni, ma non dalla ruggine e dell’insulto del tempo che lo stanno lentamente consumando. Dovrebbe essere restaurato, riportato all’antico splendore, ormeggiato lungo le rive, forse all’imboccatura del canale del Ponte Rosso, per entrare stabilmente negli obiettivi e nel coro degli “ohh” meravigliati di visitatori e turisti. Una straordinaria attrazione che – a parole - tanti politici appoggiano, auspicano, si dicono interessati a realizzare. Ma il pontone gru resta lì, in attesa di giorni migliori. Lo stesso sta accadendo ad altri simboli della città.
L’Ursus non sfugge a questa Waterloo delle “opportunità” turistiche che Trieste potrebbe offrire. La storia della gru galleggiante che per 80 anni fu la più potente del Mediterraneo è zeppa di episodi che la fanno una protagonista delle vicende del Novecento. Fu progettata per costruire a Trieste le nuove corazzate della Marina imperiale austroungarica che avrebbero dovuto superare per dislocamento e calibro delle artiglierie la Viribus Unitis e le altre tre unità della stessa classe. Ma a Sarajevo Gavrilo Princip – uccidendo l’erede al trono Francesco Ferdinando - impresse nel giugno 1914 una formidabile accelerazione alla storia. Il 28 luglio l’Austria Ungheria entrò in guerra e lo scafo del pontone appena varato non divenne una gru perché il conflitto azzerò le risorse economiche destinate alle nuove potenti corazzate.
Lo scafo restò inutilizzato per 16 anni, fino al 1930, quando fu evidente che per costruire il nuovo transatlantico, il Conte di Savoia, la presenza di una potentissima gru galleggiante sarebbe stata indispensabile. L’Ursus fu completato nel dicembre del 1931 e iniziò subito a fornire un supporto prezioso all’attività del San Marco. Tra i suoi primi record l’installazione dei tre giganteschi giroscopi Sperry che avevano il compito di smorzare il rollio del Conte di Savoia, il transatlantico “cugino” del Rex costruito al San Marco tra il 4 ottobre 1930, il giorno della sua impostazione, il 28 ottobre 1931 quando fu varato e il 30 novembre 1932 quando fu consegnato alla società armatrice. I tre giroscopi, ciascuno dalla massa di 150 tonnellate e del costo di un miliardo di lire dell’epoca, furono sollevati dalla gru del pontone a 40 metri d’altezza e poi inseriti nello scafo. Una decina di fotografie scattate da Francesco Penco racconta le fasi di una operazione mai tentata in precedenza in altri cantieri. Ma non basta. Il 13 luglio 1932 l’Ursus fu utilizzato per adagiare a una trentina di metri d’altezza sulla parte anteriore dell’idroscalo - oggi sede della Capitaneria di Porto - una enorme trave d’acciaio lunga 60 metri. Doveva servire da binario per fare scorrere le 12 porte dell’hangar. L’operazione riuscì perfettamente, ma sei giorni dopo, il 19 luglio, alcuni operai notarono che la trave, costruita alle Officine di Savigliano, aveva iniziato a incurvarsi. Fu richiamato l’Ursus che riagganciò la trave per riposizionarla. Uno dei cavi si spezzò e le vibrazioni provocarono il disastro: tre operai furono schiacciati e uno, il carpentiere Aldo Battos, 19 anni, morì poco dopo. Non fu l’unica vittima. Anche il progettista dell’idroscalo, l’ingegner Riccardo Pollak non sopravvisse al crollo. Morì dopo un paio di settimane. C’è chi dice di crepacuore e chi all’epoca al contrario insinuò che il professionista mise volontariamente fine ai propri giorni. Poi l’Ursus partecipò alla costruzione della Vittorio Veneto e della Roma, le sfortunate corazzate della Marina italiana impiegate nella scontro della seconda guerra mondiale. Infine il pontone lavorò alla realizzazione dell’ultimo transatlantico del nostro Paese, la Raffaello, il canto del cigno del cantiere San Marco.
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