Budapest, la porta sull’Est che Trieste vuole riaprire
Trieste non se ne è accorta, non è più da tempo la «porta» tra Est e Ovest, un ruolo perduto molto prima del processo di allargamento dell’Unione europea ai nuovi paesi del Centro Est, bisogna andare indietro agli anni del «crollo» del muro di Berlino. L’Ungheria era il più giovane e irrequieto degli Stati dell’orbita russa, già allora «pronto» a una nuova rivoluzione, dopo quella degli anni ’50 (nei prossimi giorni si aprono le celebrazioni), e a un cambio camaleontico da paese ligio, ma visibilmente insofferente, ai canoni imposti dal regime sovietico, a quelli di uno Stato libero, indipendente e pronto ad aprirsi al mercato. Una trasformazione profonda, visibile e radicale agli occhi di chi conosce e frequenta questo paese da oltre 20 anni, ma che riesce ad impressionare anche il semplice turista che, tornando di tanto in tanto, lo vede cambiare e crescere in maniera tumultuosa, tra mille problemi, ogni anno.
È Budapest ora il vero avamposto dell’Europa a Oriente, il «ponte perfetto» tra Est e Ovest, legata a Vienna da una parte e dall’altra ai Balcani e ai paesi della Russia grazie al Danubio che la divide a metà (pure questa una divisione significativa, a occidente la collinare Buda e a oriente Pest, commerciale e caotica) e che fa da gigantesco cordone ombelicale che idealmente tiene unite Ungheria, Austria e mar Nero. Budapest, la «Parigi dell’Est», quasi 1 milione e 700 mila abitanti, dove risiede il 20% dell’intera popolazione ungherese e dove sono concentrate il 60% delle attività economiche e industriali del paese. La capitale dell’Ungheria corre, cresce assieme al paese con uno sviluppo economico che tocca il 4%, e cerca di combattere i numerosi problemi, primo fra i quali un debito pubblico che a fine 2006 sarà pari al 67,3% del Pil (in espansione, secondo gli osservatori, nel 2007 e 2008), e che a causa del gravissimo rapporto deficit/pil (che quest’anno ha raggiunto la soglia del 10%) rallenterà il cammino verso l’introduzione dell’euro. Uno sviluppo contrastato, irrequieto, che comunque, nonostante le difficoltà (anche quelle portate dal nuovo governo di centrosinistra, appena eletto, che ha annunciato l’aumento delle tasse) richiama molti investimenti che rendono Budapest e il Paese tra i più «attrattivi» economicamente.
Lo sa bene anche Trieste che ora, perduto il titolo di porta dell’Est, ma riguadagnato quello di città strategica per la sua posizione geopolitica centrale, cerca di rincorrere e recuperare la fiducia degli operatori di Budapest e dell’Ungheria e quel ruolo che proprio l’Austria-Ungheria, di cui faceva parte assieme a Budapest, le aveva assegnato eleggendola «Porto dell’Impero». Da una parte per investire nella capitale, dall’altra per guadagnare traffici verso il Est Europa. Una situazione di luci ed ombre che vede l’Italia in pole position, terzo partner commerciale (dopo Germania e Austria) dell’Ungheria, ma al settimo-ottavo posto sul fronte degli investimenti. Sono arrivati solo alcuni gruppi bancari, poche altre imprese per lo più medio-piccole, tante società e molti professionisti.
Anche Trieste fa la sua «modesta» parte, con la Prioglio (che ha fondato alcune società, una in particolare si chiama Miramar Kft) specializzata in scambi commerciali sul fronte dell’Ucraina. Soltanto pochi mesi fa invece l’Autamarocchi ha insediato una nuova azienda (Autamarocchi Kft) di trasporto e di logistica, controllata al 100% da Trieste, guidata da un carnico, Marco Moroldo (che prima lavorava per la Prioglio), e che sta spostando alcune motrici (per ora cinque camion, spiega il vice-direttore generale Ervino Harej, che a Natale diventeranno 20 e nel 2007 almeno 50) voluta per aggredire il mercato del Centro-Est Europa «prima che quel mercato invada noi» spiegano i vertici dell’Autamarocchi visto che si attendono «flussi enormi di traffico».
Non c’è tempo ora di adagiarsi sfoderando antichi legami di sangue con la capitale ungherese, parentele strettissime (una tra le tante, oltre a Giorgio Pressburger, quella degli Illy che vantano una console onoraria con l’ex presidente degli Industriali Anna Illy), uguaglianze che affondano le radici nel tempo per tradizione culturale, culinaria e in quella dei caffè letterari (a Trieste ormai pochi mentre a Budapest centinaia, tutti affollatissimi). Trieste ha perduto posizioni e deve guardarsi da concorrenti vicini e molto temibili. Uno fra questi è Capodistria (oltre a Fiume) che ha fatto da tempo del suo porto, approfittando anche dei vantaggi di paese non ancora «ingabbiato» dalle ferre regole imposte da Bruxelles, lo scalo di Budapest grazie alla Intercontainer e alla Metrans. Ogni giorno dal porto sloveno partono almeno una coppia di treni-blocco con casse e container alla volta dell’Ungheria, dirette al kombi-terminal di Bilk, alla periferia della capitale.
Trieste arranca, ma tenta di recuperare: i treni blocco sono per ora solo due coppie (andata e ritorno) e vengono gestiti da Alpe Adria. In totale 55-60 teus alla volta. Fanno la tratta Trieste-Opicina-Lubiana-Hodos St.Peter al confine e poi entrano in Ungheria fino a Bilk, il terminal realizzato solo tre anni fa: tempo di percorrenza medio, 29-30 ore per circa 600 chilometri (il Trieste-Monaco ne impiega 13). C’era solo una coppia di treni, partita nel giugno 2005, a inizio aprile scorso sono diventate due e ora l’obiettivo è mettere in piedi la terza coppia (per dare un servizio ogni secondo giorno) all’inizio dell’anno prossimo. Ma tutto dipenderà dai traffici in porto e dalle navi che attraccheranno al Settimo.
Il presidente della Tmt, Fabrizio Zerbini, che gestisce la piattaforma logistica lo sa bene, è andato anche a Budapest per presentare il rilancio del Settimo, promuovere Trieste, raccogliere nuovi traffici e conquistare gli operatori ungheresi. Tra gennaio e agosto di quest’anno sono passati dal terminal 3224 container provenienti dall’estero e diretti in Ungheria mentre dal paese magiaro, diretti all’estero, ne sono arrivati 2180, in totale 5404 pezzi, più o meno il 7,5-7,6% del totale di traffico movimentato dal Settimo. Le compagnie armatrici interessate oltre all’Italia marittima (ex Lloyd Triestino) sono l’Evergreen, ma anche la Zim, poi case di spedizioni ungheresi, la Cma francese ed altre. Ma ci sono anche i trasporti gestiti dagli stessi spedizionieri via strada.
Un flusso di traffico sempre più forte che fa prendere forma a quel fantasma che è sinora il Corridoio multimodale numero 5 (rotaia e autostrada) che dovrebbe collegare i mercati dell’Europa occidentale a quelli dell’Europa orientale, dalla Spagna sino a Budapest, Kiev e anche oltre. I traffici ci sono ma le strozzature restano, sia da parte italiana ma anche da quella ungherese che per ora spinge più sulle autostrade mentre per le ferrovie la situazione è ferma al secolo scorso. E dire che proprio in Ungheria l’Italia è un paese da sempre amico e Trieste è ancora considerata la prima tappa, fondamentale, per ogni ungherese che va a visitare l’Italia, una città «dove ci si sente a casa».
Lo dimostra anche la «pattuglia» delle istituzioni italiane che a Budapest lavorano in una sintonia ed armonia uniche, una «squadra perfetta» e non solo per spingere sul rafforzamento dei rapporti tra Italia e Ungheria, ma specialmente tra Trieste e Budapest. Ad iniziare dall’ambasciata italiana guidata da Paolo Guido Spinelli che oltre al consigliere e vice Giuseppe Pastorelli, vede in prima linea come primo segretario responsabile del settore economico-commerciale Sergio Strozzi, poi l’Istituto italiano di cultura guidato da Arnaldo Dante Marianacci successore di Giorgio Pressburger, triestino, che ha guidato l’istituzione per oltre 4 anni. C’è anche l’Ice nella squadra, ma la vera punta, è la Camera di commercio italiana per l’Ungheria che vede l’intero vertice e una buona parte del consiglio composto da triestini, goriziani e friulani. A cominciare dal presidente, un triestino «doc» come Alessandro Stricca, responsabile di una sede bancaria italiana a Budapest, Michele Orzan, goriziano, vicepresidente alla guida della Yoppi Hungary Kft, il tesoriere Massimiliano Trivellin, triestino. che rappresenta a Budapest la Riello assieme a un altro triestino purosangue come Giuliano Dallaporta Xydias, figlio del mito della montagna, Spiro, e in Ungheria ormai da 6 anni come marketing manager, fondatore di una società che si occupa dei fondi comunitari, la Apri di cui poi è «executive manager» sempre un triestino, Michele Scataglini.
Ma nel gruppo ci sono anche il segretario generale della Camera, Pietro Vacchiano udinese, che assieme ad un altro componente del consiglio, Marco Moroldo dell’Autamarocchi (di Pontebba), hanno deciso di aprire una sede del Fogolar furlan il 25 aprile scorso e per stringere ancora di più il «legame di squadra» lo hanno fatto fondando in contemporanea il Circolo giuliani nel Mondo la cui presidenza è affidata al triestino Trivellin. Una «squadra perfetta», che lavora in sinergia (gli scambi sono quotidiani) approfittando anche dell’opportunità offerta dall’Istituto italiano di cultura all’estero che vanta la più grande sede italiana in Europa, trasformata in centro congressi ambito anche dagli ungheresi. E a rendere completo il team c’è un’altro elemento vincente, il secondo vicepresidente della Camera di commercio italiana per l’Ungheria, Sàndor Zwack, italiano e ungherese, figlio di Peter che in Ungheria guida a 80 anni un’azienda leader che ha scritto la storia del paese, la Unicum (famosa per l’amaro) e che all’Italia, ma anche a Trieste è legato da eventi e da una storia indissolubili.
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