Bryant, i ricordi triestini e isontini: quel borsone del “mulo” Graziano sul parquet con Kobe

TRIESTE. Un sorriso contagioso. Occhi di chi è pronto ad aggredire la vita per prendersi qualsiasi sogno. Un amore sconfinato per il basket. Con un giocatore triestino come beniamino. Era il Kobe Bryant “italiano”. Quello arrivato con la famiglia al seguito del padre, Joe, tecnica raffinata, lombi generosi e il soprannome “Jellybean” per una smodata passione per caramelle gelatinose. Il piccolo Kobe era un soldo di calcio e capelli ricci. «Io lo conoscevo bene».
Possono dirlo anche personaggi legati al basket di Trieste e dell’Isontino, benchè lo scenario della storia disti qualche centinaio di chilometri. Reggio Emilia. L’attuale presidente della Pallacanestro Trieste Mario Ghiacci all’epoca era il general manager della Pallacanestro Reggiana.
«Sono stato io a ingaggiare papà Bryant - ricorda commosso - Kobe era un ragazzino vivace che puliva il campo dalle chiazze di sudore e ,finite le partite, si precipitava sul parquet per tirare in canestro. Si capiva che il basket per quel bambino era davvero tutto. Le nostre strade si incrociarono nuovamente quando la famiglia Bryant si interessò all’acquisto dell’Olimpia Milano. Io ero rimassto in contatto con papà Joe ma era Kobe, peraltro grande tifoso del Milan, il motore dell’operazione. Con un legale (il padre di Niccolò Melli, l’italiano che gioca nella Nba con i Pelicans, ndr) per due settimane lavorammo sulla trattativa. Poi non se ne fece nulla ma il rapporto di amicizia è rimasto».
Tra gli idoli di Kobe bambino in Italia anche un triestino e un cormonese. Graziano Cavazzon ora ha 50 anni ma, dopo essere cresciuto nella Sgt e aver vinto uno scudetto juniores con la Stefanel, giocò a Reggiana insieme a Bryant senior. «Kobe era un ragazzino di 12 anni simpatico ed estroverso che aveva iniziato la trafila nelle giovanili. Si capiva già che ci sapeva fare con quel pallone tra le mani». Cavazzon, a sua volta figlio d’arte, per modestia non ha mai confermato quella che pare essere tutt’altro che una leggenda metropolitana: il piccolo Bryant si offriva volontario per portare i borsoni dei giocatori della Reggiana e uno dei prediletti era proprio il “mulo” Graziano.
In quella Reggiana giocava anche Giovanni Grattoni, oggi responsabile del settore giovanile dell’Alba Cormons. «All'epoca Kobe aveva 10 anni, e dopo i nostri allenamenti veniva a fare dei tiri con noi: si notava già allora il suo grande talento. Quando ho saputo della disgrazia ho subito pensato a suo padre, il mio ex compagno di squadra Joe, che ha perso un figlio e una nipotina: una cosa tremenda. Quello passato insieme a Reggio Emilia fu un anno bellissimo. Ricordo come la famiglia Bryant fosse davvero meravigliosa: serena, tranquilla, allegra. E Kobe è diventato un esempio per tutti i giovani che si avvicinano a questo sport: portava con sé un messaggio stimolante e motivante per tanti ragazzi, quello di quanto fosse importante allenarsi ed impegnarsi per ottenere risultati».
C’è stato un momento in cui, più recentemente, il basket italiano ha sognato di poter vedere nel proprio campionato Kobe Bryant. Accadde durante la serrata del torneo Nba in seguito alla vertenza tra i giocatori e i proprietari dei club che chiedevano agli atleti una riduzione dei contratti. A tentare Bryant fu la Virtus Bologna. Il tramite, il monfalconese Lauro Bon, ex giocatore delle Vu nere. Per agganciare Kobe scelse un messaggio su Facebook. «Ciao Kobe, sono Lauro, sto cercando di portarti a Bologna per un mese prima che inizi il campionato Nba. Ti ho conosciuto a Reggio Emilia quando tuo padre giocava lì, ma eri molto piccolo. Spero di sentirti». In calce, il numero di telefono. Perchè con Kobe, nonostante gli anelli di campione Nba e il conto in banca stellare, ci si poteva ancora rivolgere così, come a un amico rimasto il sorridente ragazzino di quei tempi lì. «Ciao Kobe».
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