«Bruno era un vero trascinatore con la passione per la bicicletta»

Sgomento, incredulità e la convinzione che se ne sia andato via nell’unica maniera possibile, quella a lui più congeniale, facendo un gran rumore. Sono queste le prime impressioni raccolte il giorno dopo la scomparsa di Bruno Marzi, cinquantaseienne triestino, morto in seguito a un malore che l’ha colpito in sella alla sua bicicletta, mentre partecipava a una cicloturistica d’epoca: l’Eroica, la manifestazione da più parti definita come “la Woodstock del ciclismo vintage”.
Il popolo delle due ruote è fatto così, quando incontra delle difficoltà serra i ranghi, si fa plotone, per riuscire a superare le difficoltà, che si chiamino salite o che si presentino sotto forma di tragedie, come quella capitata domenica in terra toscana. Il cordoglio, già dalla tarda serata di domenica, ha iniziato a correre attraverso i social network, con Facebook a fare da apripista. Bruno Marzi, infatti, era un nome molto noto non solo in città, dove ricopriva la carica di direttore sportivo dell’Associazione Ciclistica Gentleman, ma era molto conosciuto in tutta Italia, almeno in quei luoghi dove si organizzano le Granfondo, quelle competizioni ciclistiche corse sulle lunghe distanze. «Ci ha lasciati un amico, un vero punto di riferimento», racconta commosso Bruno Neri, suo compagno nelle fila degli Gentleman. Era una persona speciale, di quelle che o si odiano o si amano. Un personaggio che non passava certo inosservato». I folti baffi e una verve innata, capace di metterti sempre a disposizione la battuta, non erano gli unici segni distintivi dello sfortunato ciclista triestino. «Bruno era estroverso – continua Neri - , un carattere vulcanico, un vero caterpillar. Uno che se aveva un obiettivo in mente, non guardava in faccia più nessuno, doveva raggiungerlo a tutti i costi. Come quando si trattava di organizzare la cronoscalata del Boschetto, la sua creatura, quella che aveva contribuito a riportare in auge e che ogni anno necessitava di un rompiballe come lui, l’unico in grado di smuovere gli sponsor. Ma, soprattutto, era un amico, la vera anima della società, quello che tirava le fila del gruppo, quello che si faceva sempre notare. Un uomo buono, che conosceva il valore del donarsi agli altri».
Bruno Marzi pedalava tanto, oltre 7.000 chilometri l’anno. Era un amante delle classiche ciclistiche del Nord, quelle competizioni che hanno la capacità di valicare i limiti sportivi, entrando nell’immaginario collettivo delle persone: la Parigi-Roubaix, la Liegi-Bastogne-Liegi e il Giro delle Fiandre, sono alcune delle corse a cui, in un recente passato, Marzi aveva preso parte, facendo rientro a casa con un bagaglio di racconti da condividere durante le lunghe pedalate con gli amici, continuando a ripetere che «le vere gare xe quele che va sora i 200 km». A tradirlo è stato proprio questa passione, anche se di km, nell’ultima sua corsa, ne aveva percorsi solo una trentina, prima di accasciarsi a terra e spirare nonostante il rapido intervento dei soccorsi. «Non era un fanatico della classifica – conclude Neri - , interpretava il ciclismo nella maniera più autentica, godendosi il gesto atletico e, soprattutto, ammirando gli scorci che il paesaggio regalava a ogni uscita, dietro ogni curva, superata ogni collina». Ma lo ricordano con grande affetto anche tutti
Luca Saviano
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