Brexit, imprenditori Fvg con il fiato sospeso
Skerlj (viticoltori): il nostro un mercato di nicchia, non credo in grossi contraccolpi. Zamò (Ilcam): merci meno competitive

Un tassista londinese sventola la bandiera della Gran Bretagna dopo la vittoria della Brexit
TRIESTE I più sereni, per ora, paiono essere i vitivinicoltori. Imprenditori di altri settori ritengono comunque che il danno sarà maggiore per l’economia della Gran Bretagna che per quella italiana. Tutti, in ogni caso, restano con prudenza alla finestra per capire come si svilupperà il Brexit e quale impatto avrà sul business - e soprattutto sull’export - del Friuli Venezia Giulia. Un export che la Banca d’Italia ha stimato per il 2015 in 686 milioni di euro (+4,9% sul 2014) con un manifatturiero che rappresenta il 98,6% dei prodotti esportati. Mentre uno studio di Confartigianato ha rilevato essere il Fvg la regione con la maggiore incidenza percentuale di export manifatturiero da parte delle piccole e micro imprese verso l’Uk, con l’1,22%, più del doppio rispetto alla media nazionale. Un dato nel quale primeggiano la seconda posizione della provincia di Pordenone (2,64%) seguita da quella di Gorizia (2,58% con i suoi 86,9 milioni di euro fra il secondo trimestre del 2015 e il primo del 2016), mentre Trieste si colloca al 54.o posto con i suoi 25,1 milioni.
Di quest’ultima cifra una parte si deve all’export del vino. Quel vino che - confida Matej Skerlj, presidente dell'Associazione Viticoltori del Carso - continuerà a viaggiare come oggi verso Londra. «Devo ancora informarmi bene - premette Skerlj - i nostri clienti più rilevanti sono Usa, Giappone e Inghilterra. Ma il nostro è un mercato di nicchia, di fascia medio-alta che si rivolge anche a ristoranti importanti: credo che dunque un eventuale leggero rialzo del prezzo finale non cambierà di molto le cose». «Non abbiamo ancora contattato gli importatori, c’è da capire cosa succederà - interviene Benjamin Zidarich da Prepotto - il nostro export verso l’Inghilterra copre un buon 15% del prodotto. Maggiorazioni di prezzo? Forse, ma mi auguro che le cose continueranno come sempre. È una strada, quella scelta dai britannici, che dobbiamo rispettare».
«Difficile dare una cifra sull’export verso l’Uk, il nostro settore lì è cresciuto ma per noi resta un mercato relativamente marginale, che non è quello tedesco, spagnolo o dei Paesi nordici - dice Massimiliano Fabian, vicepresidente del Coffee Cluster di Trieste -: di certo, visto che l’export così come l’import in Inghilterra diverrà più complesso, saranno i britannici e non noi i più penalizzati. Così come in generale quello di Brexit è un fattore che farà più male a Londra. Certo senza libera circolazione delle merci ci saranno dogana, burocrazia e costi in più. Ma come cittadino mi preoccupa di più piuttosto la spaccatura dell’Europa, e spero che tutto quanto accade sia ben recepito da chi ci governa affinché si cambi in positivo. È assurdo avere una moneta unica e non un unico ministero economico. Servirebbe il coraggio di puntare su un’Unione vera, non un’Europa che ragiona in termini di austerity e alla fine è debole», annota Fabian.
A essere molto preoccupato - e arrabbiato - è Pierluigi Zamò, vicepresidente vicario di Confindustria Venezia Giulia e alla guida da Cormons del gruppo Ilcam, leader europeo nella produzione di parti di mobili. «Diciamo che in Gran Bretagna abbiamo una discreta esposizione - dice - vendiamo sia al manifatturiero che alla grande distribuzione. Posto l’errore madornale compiuto, con l’affidarsi a un referendum su una cosa di simile importanza, certo avremo dei problemi. La sterlina si svaluta, le merci dall’Italia saranno meno competitive. E poi ci sarà un settore immobiliare che subirà delle ripercussioni. Se non sbaglio anche l’Iva sulle merci in entrata andrà pagata, e sarà un altro elemento di complicazione. Insomma, l’economia non è certo favorita. Anche se nessuno è in grado di sapere cosa accadrà nei prossimi tre-sei mesi, e vedremo le contromosse», chiude Zamò.
«Per noi a oggi non cambia nulla, le eventuali ricadute sono tutte da valutare e dipenderanno dai negoziati che si svilupperanno», annota da Gorizia Gilberto Procura, amministratore delegato de La Giulia che fa parte del Gruppo Perfetti (dolciumi), «ma io non vedo la situazione così problematica. L’allarme al momento è più di tipo finanziario, dopo il bagno di sangue di venerdì scorso». Ancora dal Consiglio di presidenza di Confindustria Venezia Giulia, Luca Farina, a Trieste alla guida del Gruppo Orion, non crede in «grossi contraccolpi» da Brexit per il Fvg. E in generale «sono curioso di vedere se ora l’Inghilterra manterrà la linea dell’Ue sulle sanzioni alla Russia, o deciderà di alleggerirla». In ogni caso quella che si è creata «è una situazione di cui occorre essere capaci di cogliere vantaggi e svantaggi, perché è uno scossone che potrebbe anche portare fuori dalla stagnazione».
(p.b.)
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