Braccio di ferro sulle spiagge: imprese balneari nel caos

La Ue contesta la proroga delle concessioni disposta dal governo fino al 2020 e invoca il ricorso all’asta pubblica. I gestori: «A rischio migliaia di posti di lavoro»
Uno stabilimento balneare
Uno stabilimento balneare

TRIESTE Mai come adesso stanno vivendo momenti di grande incertezza. Con il rischio di veder svanire in un colpo solo anni di investimenti. Le imprese balneari, circa 30mila sul territorio nazionale, guardano con preoccupazione al braccio di ferro tra Italia e Unione europea sul fronte delle concessioni demaniali marittime e lacustri. Nel mirino della Corte di giustizia è finita la legge con cui il governo ha garantito la proroga automatica delle concessioni sulle spiagge fino al 2020. Norma che sarebbe contraria al diritto europeo.

Il caso è approdato in Lussemburgo dopo che alcune aree demaniali marittime, in Sardegna e sul lago di Garda, avevano aperto dei contenziosi davanti ai rispettivi tribunali amministrativi, i quali hanno chiesto una verifica nell'ambito dei «principi di libertà di stabilimento, di protezione della concorrenza e dell'eguaglianza di trattamento tra operatori economici». La proroga delle concessioni aveva peraltro già incassato il “no” della Commissione europea perché in contrasto con la direttiva Bolkestein, che prevede l'assegnazione delle concessioni tramite asta pubblica, in quanto si tratta di «servizi su suolo pubblico» e dunque aperti alla libera concorrenza.

Un clima nebuloso, che incombe anche sulle imprese balneari della regione. «È una decisione che va contro ogni sorta di logica. Viene da pensare che l'Europa ce l'abbia con quello che è un tipico prodotto del “made in Italy”, vista la differenza di trattamento con altri Paesi, come Francia, Spagna o Portogallo dove le concessioni durano dai 30 ai 70 anni - rileva Marco Salviato, delegato del sindacato balneari Trieste e gestore del bagno Sticco -. Il problema è che in questo modo si mettono in strada migliaia di famiglie che hanno investito risorse, ipotecando anche beni immobili privati. Non si possono cambiate in corsa le regole del gioco. Il sospetto è che più che il libero mercato si vogliano favorire gli interessi delle multinazionali che hanno intenzione di mettere le mani sulle nostre spiagge». Sulle regole del gioco si sofferma anche Alex Benvenuti, amministratore delegato Magesta Spa, che ha in gestione i due stabilimenti di Grignano. «L'attuale momento di incertezza è fortemente nocivo. C'è bisogno di regole chiare e trasparenti - afferma -. Da imprenditore osservo che sono necessarie finestre di concessione sufficientemente ampie, di almeno 20 anni, altrimenti è impossibile rientrare dagli investimenti effettuati. Se si vuole aprire un bando lo si faccia, ma è importante sapere in anticipo con quali regole si gioca la partita».

Pensieri condivisi anche sul territorio isontino. «È una vicenda che lascia obiettivamente perplessi - chiosa Roberto Corbatto, di Costa del Sol Grado Pineta -. Sono anni che combattiamo su questo fronte a suon di investimenti ma continuiamo a vivere in un clima di incertezza. E intanto gli altri Paesi possono usufruire di concessioni pluriennali. La soluzione, a mio avviso, è quella di mettere all'asta le aree ancora libere, che sono molte, e rafforzare invece le concessioni già in essere». Il problema è a monte per Marco Lauto, del Tivoli Costa Azzurra. «Diciamo innanzitutto che la direttiva Bolkestein parte da un presupposto sbagliato, in quanto la concessone riguarda la sola area sabbiosa, mentre i servizi siamo noi a metterli con le nostre risorse. Siamo sul campo da 40 anni, come veri pionieri del settore. Il nostro lavoro, ma anche il nostro prodotto, che rappresenta una eccellenza del territorio, va tutelato e salvaguardato e crea un indotto rilevante. Lo Stato dovrebbe proteggerci perché altrimenti non possiamo più investire sulla qualità, ma solo limitarci a qualche ritocco di maquillage delle spiagge a causa del rischio di non rientrare dagli investimenti».

Sul fronte friulano si analizza la questione da un punto di vista diverso. «Non è tanto un problema di Comunità europea, quanto di legislazione interna - osserva Loris Salatin, Lignano Sabbiadoro Spa -. Andare a gara pubblica può anche essere un bene perché si stimola la competizione. Ma serve un riconoscimento giuridico per chi ha investito fino ad ora e non è riuscito ad ammortizzare tutte le risorse messe in campo. In sostanza chi subentra deve in qualche modo risarcire il precedente titolare della concessione del lavoro e delle risorse investite fino a quel momento». Concetti ripresi da Giorgio Ardito, Lignano Pineta Spa.

Premesso che la nostra regione è tra le più innovative sul fronte delle concessioni demaniali, va detto che lo Stato dovrebbe tutelare di più le proprie aziende. Gli stabilimenti balneari sono un modello e un’eccellenza del territorio e dunque per mitigare questo clima di incertezza, chi partecipa al bando dovrebbe versare una fidejussione pari al valore dell'azienda al vecchio concessionario. Non chiediamo soldi allo Stato, ma solo una tutela per gli investimenti fatti».

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