Botti piene, tavoli vuoti: le osmizze sul baratro
TRIESTE Tavoli tristemente vuoti, bottiglie accantonate negli angoli. E al posto della tradizionale allegria un silenzio che impressiona. È una primavera deprimente quella che stanno vivendo le circa 120 osmizze del Carso in questi primo scorcio del 2020. In un momento dell’anno che ha sempre segnato la stagione d’oro per questo storico comparto dell’enogastronomia locale, capace di assicurare lavoro a qualcosa come 800 addetti, l’arrivo del Covid-19 sta segnando una fase che non sarà facilmente dimenticata. E per molti si profila il rischio di una chiusura definitiva.
«Per un terzo dei titolari delle osmizze – spiega Franc Fabec, presidente degli agricoltori del Carso – il lavoro dietro al bancone rappresenta l’unica fonte di reddito, perciò il problema è gravissimo. Ma anche per tutti gli altri, che arrotondano le entrate familiari con l’attività dell’osmizza di casa, la situazione è di estrema difficoltà. Siamo nelle stesse condizioni dei ristoratori – precisa – con una problema in più, nel senso che nei pubblici esercizi si acquistano i prodotti alimentari in quantità limitata, nella consapevolezza che li si venderà nell’arco di un giorno o due. Nel nostro campo invece – prosegue – la macellazione è stata fatta nel corso dell’inverno e adesso tutta quella carne rappresenta un capitale fermo. Chi possiede frigoriferi in quantità sufficiente – evidenzia Fabec – riesce a salvarsi nell’attesa di tempi migliori, chi invece ne è privo rischia di doversi disfare di quanto faticosamente acquistato e lavorato». Il problema poi diventa di natura strettamente finanziaria: «Molti di noi hanno mutui da pagare – riprende il presidente degli agricoltori del Carso – e, mancando gli incassi di questa stagione, per la categoria l’orizzonte diventa oscuro. La tradizionale attività che si svolge nelle osmizze in questa stagione – conclude – ha sempre rappresentato una grande boccata d’ossigeno per tutti gli operatori. Ora non ci resta che sperare che l’emergenza finisca e che, quanto prima, si possa tornare a lavorare».
«Solitamente fra aprile e maggio – ricorda Edy Bukavec – membro dell’esecutivo dell’Associazione degli agricoltori del Friuli Venezia Giulia – si vendeva il 40% del prodotto della vendemmia. Quest’anno siamo a zero. Certo – osserva – c’è chi si arrangia portando il vino a domicilio, ma si tratta di quantità troppo esigue per poter guardare al futuro con ottimismo. Bisogna anche pensare ai florovivaisti – continua Bukavec – i cui prodotti devono essere venduti adesso, altrimenti poi sono tutti da buttare. La Regione ci è venuta incontro – evidenzia – spostando determinate scadenze, mentre le banche ci stanno aiutando, congelando alcune rate in sospeso, ma si tratta di palliativi, perché quei soldi, prima o poi, dovranno essere sborsati, magari appesantiti dagli interessi. Perciò il problema sarà grosso per tutti».—
Riproduzione riservata © Il Piccolo